Il personaggio: “Ninnamorella” il primo album di Anna Cinzia Villani
di Vito Lubelli
da Il Quotidiano di Lecce, 4 novembre 2008
C’era una volta un Salento semi-abbandonato, non molti anni fa, prima dell’avvento del grande turismo e dei grandi festival: era una regione ( o sub-regione, nell’accezione dei geografi e degli antropologi ) meno conosciuta, più incontaminata, ma di certo non meno viva e fervida.
In quel movimento che si attivò una quindicina di anni fa e da cui vennero fuori poi i principali esponenti della rinascita della pizzica e della tradizione folkloristica leccese c’era anche Anna Cinzia Villani, voce già singolare ed emblematica, ricca di una potenza antica, e che oggi giunge con l’album “Ninnamorella” ( Anima Mundi ) in una fase nuova e matura della sua carriera artistica. Alla creatività espressiva e alla forza vocale che le sono proprie Anna Cinzia ha aggiunto in questi anni l’esperienza derivata dai suoi maestri, custodi della tradizione, gli anziani che le hanno trasmesso i segreti del canto e del ballo. Gli undici brani di “Ninnamorella” sono dunque il succo di un’ opera laboriosa, continua, fatta di affinamento stilistico e musicale.
Il disco racchiude, infatti, sia esecuzioni soliste per voce, tamburello e armonica a bocca ( come “La tabbaccara “), sia deliziosi canti, vere e proprioe arie corali eseguite insieme ai suoi grandi anziani ( tra cui spicca “La cerva”).
Per chiudere con il brano che da il titolo all’album e probabilmente rappresenta la vetta della bravura della Villani, una ninna nanna solo voce, nuda, essenziale eppure ricchissima, la cui eco rimane a lungo nelle orecchie tanta è la sua potenza lirica.
Questo brano, “Ninnamorella” , è probabilmente è tanto più importante di quanto non possa apparire al suo semplice ascolto, perchè nella sua essenza è una sorta di manifesto della caratteristica ancora primaria della tradizione salentina: l’oralità.
Con la sola voce, Anna Cinzia Villani riesce sia a cullare l’ascoltare che a ricordargli l’importanza del canto e della fonte da cui proviene, la voce profonda, coloro che ci hanno preceduto.
Ecco che tutti gli ingredienti dell’album, creatività e rispettoso minimalismo, voci e strumenti, arrangiamenti ed esili partiture, sono accomunati da un unico fattore: il buon gusto.
Non soltanto tuttavia un buon gusto espressivo ma anche il buon gusto d’imparare e quindi d’insegnare che la tarantata non è un brano pop, con due strofe, un ritornello, un inizio e una fine, ma un’aria senza schemi rigidi, il respiro di un lungo canto, e che infatti “testi e melodie sono spesso intercambiabili”.
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