di Ugo Sbisà
da La Gazzetta del Mezzogiorno del 7 agosto 2011
Un convegno sull’apporto della cultura e dell’intelligenza meridionale al farsi della Nazione, in programma il 14 e il 15 ottobre di quest’anno e un altro nel 2012 sul tema «Dioniso ritrovato» sono due tra i momenti più significativi che il comitato scientifico della Fondazione «Notte della Taranta» si accinge a vivere con l’impulso del suo nuovo presidente, il noto critico e musicologo Sandro Cappelletto, cui toccherà il compito di lavorare sul versante dell’approfondimento scientifico del fenomeno Taranta, assolutamente indispensabile per conservare il valore musicologico di una iniziativa ormai diventata di portata globale.
«Ci troviamo di fronte a un fenomeno – dice Cappelletto – che è esploso anche oltre l’immaginazione di quanti, negli Anni ‘90 del secolo scorso, hanno dato l’avvio a questa avventura. Ma non dimentichiamo che, se oggi parliamo di pizzica, di taranta, è grazie agli studi di De Martino, Carpitella e di tanti altri etnomusicologi».
Maestro Cappelletto, indubbiamente siamo al cospetto di una storia che viene molto da lontano. Ma dal suo punto di vista di musicologo, come spiegherebbe questa esplosione della Taranta e, soprattutto, quali sono i compiti del comitato da lei presieduto? «L’universo di valori antropologici, sociali, rituali, scaramantici della Taranta ci riportano a realtà ancestrali non solo salentine, ma appartenenti a quell’immensa nazione culturale e musicale rappresentata dall’area mediterranea. Il comitato ha appunto la funzione di invitare gli studiosi a ragionare sulle questioni che questo festival ha fatto esplodere con l’incredibile partecipazione di massa. Per questo motivo, nel 2012, organizzeremo un convegno dal titolo Dioniso ritrovato , perché siamo convinti che questo festival abbia fatto riemergere l’aspetto dionisiaco della cultura occidentale, dopo una rimozione lunga quasi 2000 anni. Poi il comitato ha compiti di indirizzo, ad esempio nella scelta della direzione artistica, affinché non si superi il confine tra musica popolare e commerciale».
Quindi lei identifica il motivo del successo e della popolarità nel forte richiamo alla fisicità espresso dalla Taranta? «È decisamente un richiamo ai valori più profondi e ancestrali, il recupero di forze potenti attraverso le quali è riemerso l’aspetto dionisiaco e irrazionale, così necessario all’equilibrio dell’uomo. Se ci pensiamo, la nostra cultura ha sempre espresso una paura della fisicità, dell’espressività affidata alle pulsioni del corpo. Goethe detestava il valzer perché lo considerava un “rotolarsi come i porci”. Le pulsioni del corpo sono una risposta al trionfo della virtualità e la Taranta ci ricorda che carne e spirito, Apollo e Dioniso, sono inseparabili, che non ci si può tagliare a fette. Del resto, la convivenza di questi due elementi è anche all’origine dello spirito della tragedia. Noi però viviamo in una società che, globalizzandosi, ha perso il contatto con la nostra radice fisica e terrena. E questo spiega anche il motivo dell’internazionalità della Taranta».
Quali sono oggi i rischi principali che corrono la Taranta e la «Notte»? «Siamo davanti a un fenomeno che va oltre un ambito salentino o pugliese, ma è ormai patrimonio della vastissima nazione mediterranea e dunque universale. Bisogna evitare di “sedersi” per eccesso di successo, saper individuare le personalità culturali e musicali in grado di portare sempre nuova linfa e, soprattutto, il mondo politico non deve mai dare per scontato che la “Notte” possa andare avanti da sola. In un’e poca in cui si taglia sempre sulla cultura, che “non si mangia”, uno studio della Bocconi dimostra che per ogni euro investito sulla Notte della Taranta si ha un ritorno sul territorio di otto volte superiore. Sarebbe il caso di riflettere».