Salento. Nel paese di san Donato

per gentile concessione di Franco Arminio, riprendiamo questo testo di “paesologia salentina” tratto suo libro Terracarne. Viaggio nei paesi invisibili e nei paesi giganti del Sud Italia, Mondadori 2011

sandonatoSono stato due giorni nel Salento per tenere un corso di paesologia. Il paese si chiama Montesano, vicino Santa Maria di Leuca. È il paese di san Donato. Negli anni Sessanta, Luigi Di Gianni gli dedicò un bellissimo documentario. Era il Salento di Sud e magia, il Salento di san Paolo, quando la pizzica era ancora una cura per la malattia e non una calamita per turisti, e la terra era bianca e poverissima. Non c’erano Suv in giro, non c’erano i grandi cartelloni che annunciano i concerti di agosto.

Prima che a sud, il Salento è il punto più orientale dell’Italia. Mare a sud, mare a est, mare a ovest. L’unica via di fuga è verso nord. Forse per questo vogliono fare una strada a quattro corsie che colleghi Santa Maria di Leuca a Maglie, un modo per avere la sensazione di uscire più presto dal pozzo. Ma è un pozzo dove non si sta male. Il Salento è un grande orto con dei paesi in mezzo e il mare intorno. Per capire questa terra bisogna capire il mare e io il mare non lo capisco. E poi mancano le tegole, mancano le alture. Insomma, non è il Sud dell’Appennino.

Fa caldo, alcuni anziani stanno seduti sugli scalini della chiesa. Anche qui la vita sociale si risolve nella partita a carte. E la scena è tutta degli anziani. I giovani si svegliano tardi o forse sono al mare o ancora devono arrivare dal Nord dove lavorano o studiano. Non posso dire di essere tornato dal Salento con acquisizioni particolari sui luoghi. Mi hanno colpito due storie. Quella di Riccardo, il tutor del corso. Aveva undici anni quando suo padre fu investito. Mi dice del senso di colpa per il fatto che il padre era tornato in macchina a togliere le chiavi dal quadro temendo che lui potesse combinare guai. Il guaio arrivò dalla figlia della persona che il padre di Riccardo stava andando a incontrare. La seconda storia è quella di un falegname che stava insieme a un altro anziano davanti alla porta di casa. Colorito da malato, ma un malato iroso, cupo, come se ce l’avesse con tutto e con tutti. Ci dice anche dove si è operato, a Padova, al settimo piano. Se fossi stato da solo mi sarei fermato di più a parlare con lui. Ha un tumore e forse anche un brutto carattere, insomma le sue saranno ore nerissime. Sicuramente molte volte si farà questa domanda: perché a me e non a un altro?

C’è anche una terza storia che mi porto dietro dal Salento. Entrando in una casa vedo una nicchia con una fotografia. Si tratta evidentemente di una persona deceduta. Chiedo se è stato un incidente e mi viene risposto che è stato un aneurisma. Eccola la risposta che non ci voleva. Una risposta che mi allontana ancora di più dal Salento. Parlo di paesologia coi ragazzi, loro sono interessanti, io cammino barcollando. Ci vorrebbe per riprendermi uno spirito che non ho, uno spirito come quello di don Tonino Bello. Non sapevo che fosse di questo paese. Pensavo fosse di Molfetta, dove faceva il vescovo lontano dal clericume dominante. Provo a distrarmi, è arrivato Vincenzo Santoro, uno che sa molte cose su questa terra e me le dice. Gli scrittori salentini e una sua teoria sul perché si fermano un po’ a mezz’altezza, la fine del tabacco e poi della maglieria, la paura che il territorio sia svenduto alle logiche di un turismo d’assalto, il rapporto con la tradizione.

Cerco di ascoltare, ma in questi giorni faccio fatica a dialogare con le persone. Le parole che dico mi tolgono il respiro. Mi sento spaesato e questo dà al mio corso un tono più credibile. Non sono venuto a portare assiomi e certezze, ma un corpo che sbanda, un cuore perplesso. Sono un perfetto insegnante, mi dice un’antropologa francese. Potrei anche essere contento. Qui si mangia bene, la calura non è insopportabile. Eppure anche qui ho dato la caccia ai segni dello sfinimento. Ho fatto la mia solita ricerca del punto che non tiene. E la conclusione è sempre la stessa. A parte il sole e la pizzica, il male dell’Occidente è calato con tutte le sue milizie. Ognuno gli dà il nome che vuole. Io penso che mi possa venire un ictus da un momento all’altro. Chi si lamenta per la strada che non c’è, chi si lamenta per la disoccupazione o per le olive che non rendono. Siamo gli epilettici dell’autismo corale. E san Donato non può farci niente.

per avere maggiori informazioni sul libro premere qui

Un bel frammento paesologico sul Salento di Franco Arminio si può leggere  cliccando qui

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