di Vincenzo Santoro
da Il Paese Nuovo, 20 settembre 2012
Le edizioni Kurumuny hanno da poche settimane ridato alle stampe Delle volte il vento, breve ma interessante e significativo romanzo di Milena Magnani, originariamente pubblicato nel 1996 per Vallecchi.
Ambientato interamente nel Salento, la delicata opera della scrittrice bolognese svolge la sua trama nella prima metà degli anni ‘90, nel periodo di maggiore intensità degli sbarchi di “migranti” proveniente dall’altra parte dell’Adriatico, conseguenza del rovinoso crollo del regime comunista che aveva dominato il Paese delle Aquile per decenni.
Attraverso la storia di una amicizia cercata e mai realizzata tra Carmela, una giovane donna del posto e Lume, un’albanese fuggita dal suo Paese ma restìa a rinnegare del tutto la sua cultura – e la sua educazione comunista – per ad abbracciare i modelli occidentali, il romanzo racconta la difficoltà del dialogo fra “mondi” diversi e le conseguenze dello sradicamento e dell’esilio forzato. Ma fornisce anche una sorta di “istantanea” di un momento storico fondamentale, in cui, con la caduta del “muro” dell’Adriatico, conseguenza della frana del più importante Muro di Berlino, il Salento ha cominciato a “ri-aprirsi” al mondo e a ritrovare, con tante contraddizioni, il suo essere una terra di passaggio, di dialogo e di intreccio di culture. E anche grazie a questi stimoli – per citare l’analisi di Franco Cassano, il cui fondamentale saggio Il pensiero meridiano è stato anch’esso pubblicato nel 1996 – ha cominciato a ri-guardare con un occhio diverso la propria storia culturale, mettendo così in moto un originale percorso di “rinascita”, i cui risultati, controversi ma innegabili, sono sotto gli occhi di tutti.
Il libro ha inoltre il merito di affrontare in maniera realistica e non “buonista” il complesso rapporto del Salento e della Puglia con il fenomeno dell’immigrazione, fatto di grandi slanci e di una tendenziale vocazione all’accoglienza (che spesso però è più nella retorica che nei fatti concreti), ma non scevro, come è noto, da fenomeni di malaffare e di sfruttamento, di cui le cronache di questi anni purtroppo danno testimonianza.
Con Delle volte il vento la Magnani inaugura un fortunato filone – che aveva avuto un precedente insuperato con L’ora di tutti di Maria Corti, ma che esploderà dalla fine degli anni Novanta – di romanzi ambientati nel Salento ma scritti da “forestieri”, in cui questa terra, con il suo carico di storie e di tradizioni (e soprattutto di musiche e di danze) diventa “materia letteraria”. Nei dialoghi del romanzo troviamo infatti spesso il dialetto salentino (insieme all’albanese) e nella narrazione sono continui i riferimenti ad elementi della cultura popolare (dai proverbi ai canti, dalle leggende alle “superstizioni”), frutto evidentemente di uno studio approfondito dell’autrice, particolarmente apprezzabile perché in quegli anni, a differenza di ora, era difficilissimo trovare pubblicazioni specializzate.
Il libro ci ricorda un Salento, per citare la preziosa e significativa introduzione di Claudio Lolli alla prima edizione, ancora “carico di odori e di vento, di fatiche che l’assenza di memoria, di cui l’inerte modernità è impregnata, non è ancora riuscita a cancellare, anche se è sulla buona strada per sconvolgere ogni senso, ogni regola di vita che la sofferenza antica comunque aveva”. Un prezioso aiuto dunque per valutare meglio il Salento di oggi, in cui quella “sofferenza antica” è diventata “risorsa” da valorizzare – non sempre nella maniera più opportuna – e feticcio post-moderno da offrire ai turisti.