Intervista a Roberto Lorenzetti
a cura di Sergio Torsello
Per lunghi decenni dopo l’apparizione de La Terra del rimorso (1961), che è bene ricordarlo, passò pressocché inosservata nel mondo intellettuale salentino, Galatina divenne la meta di un vero e proprio “pellegrinaggio antropologico”, come scrisse Alfonso Maria Di Nola. Quasi tutti gli epigoni di Ernesto de Martino tornarono nella terra “elettiva” del tarantismo per verifiche e approfondimenti. Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, Roberto Lorenzetti, etnofotografo, antropologo e storico, oggi direttore dell’Archivio di Stato di Rieti, è stato a lungo impegnato in una ricerca sul campo in Salento. In questa intervista l’autore ricostruisce brevemente la sua esperienza. A corredo si pubblica una foto inedita sulla “scherma” a Torrepaduli gentilmente concessa dall’autore. Due significative foto, sempre su Torrepaduli, sono inoltre contenute nel bel volume, Appunti di viaggio. Fotografie di Roberto Lorenzetti (Rieti 2010), che contiene inoltre otto “scatti” dedicati al Salento: tre riguardanti la vita dei pescatori di Gallipoli, tre il tarantismo a Galatina e due la “scherma” di Torrepaduli.
Come nasce il suo interesse per il tarantismo?
Nasce negli anni ’70. Il tarantismo era il fenomeno che maggiormente affascinava noi giovani che ci avvicinavamo alla ricerca etnoantropologica. Nel 1977 avevo fondato l’Istituto “Eugenio Cirese” che ho presieduto fino al 1990 e fu in quel contesto che maturarono le prime ricerche sul campo. Ernesto De Martino era il grande riferimento obbligato di tutti noi, ed in particolare lo era quella ricerca sul tarantismo con il suo approccio interdisciplinare che collocava la ricerca antropologica fra le scienze sociali, allontanandola definitivamente dalla tradizione umanistica e romantica. C’era in più il fatto che frequentavo il Salento per motivi famigliari (mia moglie è di Gallipoli) e quindi fu naturale concentrarmi su questo argomento. Ne parlai con il mio professore di laurea Vittorio Lanternari che mi affidò come tema “Ernesto De Martino e il tarantismo pugliese”. Si intitolava così infatti la tesi di laurea che discussi nel 1980 presso la Sapienza di Roma, relatore lo stesso Lanternari, correlatore Tullio Tentori. Una sintesi dei risultati della ricerca vennero poi pubblicati, nel 1982, in un articolo dallo stesso titolo su Sallentum, una rivista di storia locale salentina. Nel 1985, con Paolo Albanese e Paola Chiari, pubblicai un altro articolo di documentazione fotografica sulla rivista Storia e medicina. In quegli anni iniziai anche una ricerca sulla vita tradizionale dei pescatori di Gallipoli, poi interrotta.
Durante la sua permanenza nel Salento venne in contatto con studiosi locali?
No, con studiosi locali mi sembra di no. Incontrai però una volta a Galatina nella notte del 28 giugno proprio Vittorio Lanternari e Augusto De Vincenzo che ha poi preso la sua cattedra a Roma.
Oltre al tarantismo ebbe modo di osservare altri rituali nell’area salentina?
Ero a Torrepaduli nell’agosto del 1980 quando ci fu il primo tentativo di recuperare la “pizzica” nel contesto della festa di San Rocco. In quella fase studiavo la “moresca” e ipotizzai dei collegamenti tra quest’ultima e la pizzica. Ricordo che a Torrepaduli incontrai Diego Carpitella che confermò la mia ipotesi e realizzò una documentazione video. Alle possibili connessioni tra pizzica e moresca accenno nel mio lavoro La moresca nell’area mediterranea pubblicato da Forni nel 1991.
Come giudica il recente revival della pizzica e del tarantismo?
Lo giudico male. Fa sicuramente bene all’economia locale, ma sono fortemente perplesso di fronte a tutto quello che sta accadendo. La gente balla la pizzica ma non sa nulla da dove viene. Soprattutto non conosce il collegamento con quel disagio sociale a cui storicamente si lega. Se avessero visto le tarantate strisciare a terra fuori dalla chiesetta di S. Paolo e le facce dei parenti che vivevano la cosa come un vero e proprio dramma, troverebbero al pizzica un po’ meno affascinante.
Una ampia selezione di scritti di Sergio Torsello, pubblicata con il consenso dell’autore, si può leggere cliccando qui