Lo storico e ricercatore non ha dubbi: “A Melpignano la musica popolare è usata come merce, prodotto di marketing territoriale, tradendone i valori originari. Il CFF invece resiste”.
di Lucia Piemontese, da l’Attacco, sabato 12 dicembre 2015
Parole, suoni e immagini, per raccontare “il lungo silenzio della gente del Sud”. Una serata unica e irripetibile registrata su un Uher 4400 da un giovane ricercatore, Giovanni Rinaldi, presente il 14 gennaio del 1978 nella Biblioteca Provinciale De Gemmis di Bari. Fu lì che Matteo Salvatore, il cantore di Apricena, prese parte ad un evento irripetibile, rendendolo ancora più unico con la sua musica e con le sue parole. È tutto in A Sud. Il racconto del lungo silenzio, edito da SquiLibri, straordinario documento audio, testuale e fotografico a cura dello storico e autore cerignolano Giovanni Rinaldi, protagonista giovedì sera nello spazio live della Ubik di Foggia, per la presentazione di questo lavoro editoriale. Testimone e autore delle registrazioni conservate nell’Archivio Sonoro della Puglia, Rinaldi ha ripercorso con i lettori della libreria questo appassionante reading multimediale che, oltre alla musica di Matteo Salvatore, accoglie anche la voce di Riccardo Cucciolla e le fotografie di Paolo Longo.
Per Matteo Salvatore si trattò del coronamento di un sogno: quello di suonare in una biblioteca e l’ascolto ci restituisce il confronto e l’incontro tra il punto di vista della ricerca meridionalistica, e la prospettiva di chi era parte di quel mondo popolare oggetto di studio. La voce di Cucciolla è lo strumento attraverso il quale De Martino incontra Matteo Salvatore, il quale non si risparmia nello snocciolare storie, ricordi e canzoni, partendo dalla forte senso religioso popolare, passando per il lavoro nei campi, e per concludere con un paio di classici del suo repertorio.
L’ascolto regala così perle rare come la dolce ninna nanna La leggenda di San Nicola, i canti devozionali Maria Santissima Incoronata, San Lazzaro e San Luca, pittoreschi spaccati della realtà di paese come Il Venditore Ambulante, l’ammiccante Il Pescivendolo, e Arrecunète, Lu Bene Mio e Il Forestiero. L’occasione per ascoltare una delle performance più intense ed ispirate di Matteo Salvatore.
“Matteo Salvatore è citato e ricordato sempre per le canzoni più conosciute e com- merciali, che non sono necessariamente le migliori”, ha spiegato Rinaldi a l’Attacco. “Le sue cose migliori stanno in dischi non più rieditati. E’ come se Sinatra fosse ricordato solo per My way. In questo libro, ad esempio, cito 3-4 canti religiosi conosciuti pochissimo, dedicati a San Nicola di Bari, alla Madonna dell’Incoronata, alla chiesa di San Nazario a Sannicandro. Ci sono pezzi di poesia pura in musica, buona parte dei quali fanno parte di archivi privati, o si trovano nell’Archivio sonoro di Puglia, o infine in questo mio libro. Sono molto contento anche perché nel ’78 Matteo Salvatore aveva ancora la sua voce, col famoso falsetto, come pure per il fatto che si tratta di una delle poche registrazioni dal vivo in un contesto collettivo, davanti a circa 200 persone. Erano gli anni in cui era preso a modello della cultura popolare, in un contesto intellettuale che lo amava e studiava”. Il giudizio di Rinaldi sulla maniera in cui oggi viene usata la musica popolare è netto. “Matteo Salvatore rappresentava tutta la cultura popolare, che non può essere utilizzata solo come strumento di marketing territoriale. Farlo significa svilirla a merce. Certo, da una parte tale uso è servito a conservare questi pezzi di storia, ma dall’altro si è verificato talvolta un eccesso di commercializzazione della cultura popolare. Il rischio è quello di proporre un prodotto finalizzato alla massima partecipazione e al ritorno economico, quando invece queste cose arcaiche vanno per prima cosa capite. E’ un fenomeno che la Notte della Taranta ha portato all’esasperazione, facendo diventare moda ciò che moda non era. Il 90% dei valori trasmessi non ha più nulla a che fare con l’origine, col serio rischio del livellamento di massa anziché recupero”. Non a caso sono state molteplici le polemiche suscitate dall’ultima edizione della fortunatissima manifestazione di Melpignano, sia per la presenza del rocker emiliano Ligabue sia per l’addio tumultuoso del suo inventore, Sergio Blasi.
“Certamente usare la musica popolare così come fa la Notte della Taranta porta posti di lavoro, ma così la si riduce a prodotto, a merce”, prosegue lo storico e ricercatore ceri- gnolano.
“Quanto al Carpino Folk Festival, vive di alti e bassi. Ma la cosa più importante è che riesce a resistere alla massificazione, un po’ perché non può permettersela, visti gli spazi contenuti a disposizioni, un po’ perché è stata fatta una scelta diversa. A Carpino la contaminazione non è solo musicale, ma fa parte del metodo di lavoro. Ci sono ad ogni edizione tanti eventi di vario tipo, che arrivano a più fasce di pubblico. Penso ad esempio all’idea della festa della transumanza, che trovo bellissima. Il Carpino Folk Festival riesce a non farsi travolgere dall’aspetto mass-mediatico, invece la Notte della Taranta vive dei mass media. Ma la cultura popolare racconta spesso il dolore, la sofferenza, la povertà. Ed è qualcosa di opposto al potere”.
Per informazioni sulle pubblicazioni e ricerche di Giovanni Rinaldi, a partire dalla sua fondamentale opera sulla memoria dei braccianti del Tavoliere, cliccare qui