Luci e ombre del “caso Salento”

12440507_469285999944328_4969228119135835884_oE’ uscito il n. 12 della rivista La piva dal Carner, che contiene la prosecuzione del dibattito cominciato sul numero precedente intorno alle forme contemporanee di rivisitazione delle tradizioni musicali del territorio, con particolare riferimento al Salento.

Nel numero di ottobre, un articolo di Giancorrado Barozzi (dal titolo emblematico: Lo (s)ballo della Taranta (da Ernesto de Martino a Luciano Ligabue) si esprimeva in termini estremamente critici nel confronti del movimento salentino e in particolare della Notte della Taranta. Sul numero attuale intervengono sul tema: l’etnomusicologo Ettore Castagna (Tarantella pop e pensiero musicale unico),  il giornalista di Blogfolk Salvatore Esposito (La Notte della taranta. Riflessioni critiche e prospettive future) e il sottoscritto, con un articolo dal titolo Luci e ombre del caso Salento, che qui riporto.

Luci e ombre del “caso Salento”

Negli ultimi anni il “caso Salento” ha attirato l’attenzione di studiosi e di appassionati delle musiche e dei balli “popolari”, sugli esiti di un processo di valorizzazione che ha portato repertori e modalità espressive, nel tempo pra-ticamente scomparsi o estremamente ridotti nell’uso, a diventare un fenomeno di grandissimo e inatteso successo, quasi una vera e propria moda.

Non c’è dubbio che per giudicare gli esiti di questo processo si renda necessario un approccio critico, che riesca ad uscire dal coro di più o meno interessati laudatori a prescindere, impressionati soprattutto dall’enorme seguito e dal grande clamore mediatico che in questo ambito di solito non si è abituati ad avere. Per cui occorre ringraziare La Piva dal Carner, che ha deciso di aprire un dibattito sull’argomento, ospitando, nell’ultimo numero, due articolati interventi, rispettivamente di Giancorrado Barozzi e di Giuseppe Michele Gala. Sono dunque a cercare di dare un mio piccolo contributo, nei limiti che consente un breve articolo, partendo proprio dai testi citati, e in particolare dal primo.

Barozzi propone una sintetica ricostruzione della genesi e degli sviluppi del “movimento” salentino, che mi pare in linea di massima condivisibile, tranne per alcuni aspetti importanti. In primo luogo (non mi stancherò mai di ripeterlo), il revival degli ultimi decenni non riguarda solo la musica (e il ballo) del tarantismo, ma un insieme più complesso di espressioni culturali. Il centro propulsore di tutto è infatti non certo la danza “della cura”, che viene rappresentata in casi rari e molto delimitati, ma la danza “della festa”, fortemente trasformata rispetto alla tradizione ed adeguata al linguaggio del corpo contemporaneo(1). Per cui valutare l’esperienza salentina limitandosi all’analisi, pur valida, sulle modalità con cui è stata realizzata questa sorta di “inversione della tradizione”, che trasforma il tarantismo da simbolo di sofferenza sociale a momento di sballo collettivo, risulta essere un’operazione assolutamente insufficiente. Si tratta di una sorprendente parzialità dello sguardo che si riscontra in diverse analisi del genere, vecchie e più recenti, e che forse deriva in qualche modo dall’attrazione irresistibile che gli studi demartiniani continuano ad esercitare in certi ambienti, anche accademici, per cui tutto quello che succede in questo ambito deve essere in primo luogo riferito all’eredità dell’etnologo napoletano (di cui naturalmente mi guardo bene dal trascurare l’importanza). In questo modo sfuggono alcune questioni centrali, come ad esempio un elemento molto presente nella scena salentina, e ragione non secondaria della sua capacità seduttiva: la ricerca nei suoni e nei balli della tradizione di un originale aspetto estetico e ludico (direi di “piacere”), che non necessariamente si deve realizzare capovolgendo il significato del tarantismo, anzi può convivere con una lettura “corretta” di questo fenomeno. Insomma, ci si può divertire ballando e suonando la pizzica pizzica senza “invertire” nulla e nemmeno tradire la memoria del tarantismo.

In secondo luogo, in questa ricostruzione non viene a mio parere messo in sufficiente evidenza quanto il territorio di cui parliamo sia stato anche lo scenario di un importante dibattito, che è arrivato addirittura nelle sedi istituzionali, sul tema dell’“uso pubblico della cultura popolare” (qui cito una riflessione del compianto Sergio Torsello), all’interno del quale a una impostazione “vincente”, sostenuta soprattutto dalla disponibilità per molti anni di imponenti risorse pubbliche per l’evento più rappresentativo, cioè la Notte della taranta, si sono contrapposti sguardi e proposte diverse, che facevano riferimento a ispirazioni culturali e direi politiche alternative. Nel mio saggio Il ritorno della taranta(2) ho cercato di rappresentare questa pluralità, che a mio avviso è uno degli esiti più interessanti del “caso Salento”.

In ne, per venire proprio al Grande Evento per eccellenza, su cui si concentra la polemica di Barozzi (con considerazioni anche in questo caso in gran parte condivisibili), vorrei fare notare che non è certamente il solo contesto in cui si evidenzia un certo tratto di travisamento e di “merci cazione senza memoria”. Basterebbe infatti soffermarsi su cosa è venuto fuori negli ultimi anni a Galatina per la festa di San Paolo, diventata ormai una sequela di volgari pantomime di uno pseudo neo-tarantismo ad uso e consumo di turisti (e locali) in compulsiva ricerca dell’esotico e del “colore locale”. Una cosa del genere sul palco della Notte non è mai accaduta, segno che un certo tipo di senso del limite e di “buon gusto” (o come lo vogliamo chiamare) comunque c’è stato. D’altra parte, non mancano nel Salento esempi di festival, rassegne e progetti culturali con un’impostazione meno superficiale e molto più rispettosa e rilassata. Per cui attenzione a considerare adeguatamente la complessità di una scena estremamente articolata e in continua trasformazione, non soffermandosi solo sull’evento più visibile e mediatizzato.

Quella che secondo me è la grande responsabilità che si può attribuire al gruppo (composto in prevalenza da politici locali) che ha diretto il progetto della Notte, è di non aver saputo affiancare all’organizzazione dell’evento melpignanese la messa in opera di una politica culturale più complessiva, che servisse a diffondere un rapporto con la memoria culturale meno banalizzante e potesse servire anche come “antidoto” agli eccessi della mercificazione e della spettacolarizzazione. E questo nonostante la Fondazione, ma anche il precedente Istituto Carpitella, da cui nel 1998 si originò la Notte della taranta, avessero questi intendimenti addirittura scritti nei propri statuti fondativi. Negli anni, ci si è compiaciuti del sempre maggiore successo di pubblico e mediatico (comunque indiscutibile), ma non si è stati capaci di avere uno sguardo che riuscisse ad andare oltre numeri della serata nale (e la loro esibizione musco- losa a tacitare ogni critica). Anche su questo aspetto, cioè su quelle che ancora Sergio Torsello chiamava, in un suo saggio di qualche tempo fa(3), le “promesse tradite” della Notte, negli anni si è sviluppata un’ ampia e appassionata discussione pubblica, che non ha portato ad esiti positivi per la sordità e la chiusura di chi avrebbe potuto, invece, agire diversamente.

D’altra parte, il necessario sguardo critico non deve farci dimenticare che il “caso Salento” è anche un laboratorio di grandissimo interesse per varie ragioni. Questo processo di valorizzazione di una parte importante del “patrimonio immateriale”, per quanto controverso e foriero a volte di derive sconcertanti, ha però impedito che tali patrimoni fossero condannati all’oblio e alla scomparsa. E questa era, non dimentichiamocelo, la situazione agli inizi degli anni Novanta quando, anche sulla scorta del lavoro fatto nell’ambito del piccolo “folk revival” che si era sviluppato a livello locale in precedenza, partì un nuovo movimento di riuso della musica e dei balli tradizionali. Il tarantismo era deceduto (per fortuna!), il ballo della festa era uscito dall’uso e anche il resto delle espressioni tradizionali erano praticamente sparite. Nessuno (o quasi) ballava più, nessuno suonava (e costruiva) gli oggi onnipresenti tamburelli, e così via. Solo grazie ad una azione diffusa e duratura di recupero e “ri-funzionalizzazione”, per quanto contraddittoria e magari naïf, si è potuto ottenere un ritorno di interesse per questi temi, ed anche uno straordinario processo di re-impadronimento collettivo di certe espressioni culturali. E non è neppure da sottovalutare che il grande interesse per questi argomenti abbia portato anche alla produzione di studi, ricerche, pubblicazioni e alla messa in opera di progetti culturali, in una dimensione che non mi pare abbia termini di paragone in Italia (se non forse, per alcuni aspetti, in Sardegna). Penso ad esempio alla pubblicazione in edizione critica della maggior parte dei testi storici sul tarantismo, nonché della gran parte dei “materiali originali” della musica di tradizione, frutto delle grandi campagne di ricerche del passato (Alan Lomax, Diego Carpitella, Roberto Leydi, Brizio Montinaro eccetera) e anche più recenti, con la formula del cd/libro, rendendo disponibili materiali importantissimi.

E mi permetto anche di dire che le fortissime ricadute economiche e di promozione territoriale che si sono realizzate nel “caso Salento” forse meritano di essere valutate con maggiore attenzione. Al di là delle polemiche sulla mercificazione della tradizione, che per quanto fondate a volte appaiono sinceramente un po’ riduttive, questo aspetto non può essere trascurato o sottovalutato, soprattutto in luoghi del Sud in cui la crisi economica morde con forza. A mio parere, per gli studiosi e gli operatori del settore, oppure più semplicemente per chi ha a cuore l’esito di questa singolare avventura, la sfida che si pone è di cercare di capire come fare in modo – se è ancora possibile, e non è scontato che lo sia – che la deriva mercificatoria non prenda del tutto il sopravvento, per costruire dei percorsi se non di cambiamento strutturale (cosa che mi pare difficile per varie ragioni) almeno di allargamento della consapevolezza e di produzione di spazi di resistenza.

Il “caso Salento” è dunque interessante anche perché può essere visto come una declinazione particolare di un problema più generale: è possibile attivare un percorso di valorizzazione dei patrimoni immateriali che ne impedisca la scomparsa e che abbia un’adeguata dimensione comunitaria? E che possa anche essere motivo di sviluppo territoriale, magari nella direzione di un turismo slow attento a dimensioni culturali non consuete? O è inevitabile che processi simili producano la corruzione irreversibile degli stessi patrimoni che si vorrebbero valorizzare?

Rimangono questioni aperte, su cui ritengo che valga la pena di continuare a confrontarsi e a discutere.

NOTE

  1. Processo analizzato approfonditamente da Giuseppe M. Gala nel saggio: “La pizzica ce l’ho nel sangue”. Riflessioni a margine sul ballo tradizionale e sulla nuova pizzicomania del Salento, in Vincenzo Santoro, Sergio Torsello (a cura di), Il ritmo meridiano. La pizzica e le identità danzanti del Salento, edizioni Aramirè Lecce 2002, pp. 109-153
  2. Vincenzo Santoro, Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, libro+cd, Squilibri 2009
  3. Sergio Torsello, La Notte della taranta. Dall’Istituto “Diego Carpitella” al progetto della Fondazione, in “L’Idomeneo, Rivista della Società di Storia Patria per la Puglia”, Sezione di Lecce, 9/2007, Edizioni Panico, 2008, pp 15-33.
    Disponibile all’indirizzo: http://lnx.vincenzosantoro.it/2015/07/20/la-storia-della-notte-della-taranta-dallistituto-carpitella-alla-fondazione/

Per scaricare il numero completo di gennaio de La piva dal Carner cliccare qui: 12.pdc gennaio 2016

Per scaricare il numero precedente cliccare qui: http://lnx.vincenzosantoro.it/2015/10/25/lo-sballo-della-taranta-da-ernesto-de-martino-a-luciano-ligabue/

Una selezione di articoli interessanti, che ho scritto negli anni, si può trovare qui: http://lnx.vincenzosantoro.it/i-miei-articoli-sulla-notte-della-taranta/  . Una selezione di articoli scritti da altri si può trovare invece qui http://lnx.vincenzosantoro.it/riflessioni-sulla-notte-della-taranta/ e qui http://lnx.vincenzosantoro.it/il-salento-e-le-sue-musiche/

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