La taranta di David Byrne (in un documentario del 1982)

byrnetarantatoRecentemente, su youtube è stato pubblicato un video di straordinario interesse per gli appassionati di questioni tarantesche. Si tratta di Once in a lifetime, un documentario trasmesso nel 1982 da Channnel 4, la seconda rete pubblica inglese, che contiene un concerto dei mitici Talking Heads alla Wembley Arena di Londra (1). Sorprendentemente, vi sono compresi anche alcuni significativi frammenti del documentario La taranta di Gianfranco Mingozzi, che il carismatico e visionario leader della band, David Byrne, sembra addirittura usare in una maniera che potremmo definire “creativa”.

Ma andiamo con ordine. Come è noto, i Talking Heads sono un gruppo di origine statunitense che, partendo inizialmente da un’estetica musicale “in tutto e per tutto figlia del punk”, si fanno largo – grazie anche alle intuizioni musicali e alla presenza scenica del loro leader, David Byrne(2) – nella fertile scena newyorkese degli anni Settanta (che comprendeva fra gli altri i Ramones, Patty Smith Group, Blondie, Television ecc) proponendo un rock nevrotico ed eclettico che teorizzava e praticava – anche in collaborazione col geniale Brian Eno – il crossover culturale, fra modernità, sonorità elettroniche e “radici” nere(3). Il loro apogeo creativo è rappresentato dal capolavoro Remain in Light (1980), album acclamato dalla critica e dal pubblico, in cui “il funk, l’elettronica, l’Africa, il rock, la new wave, tutto si mescola in un album che che è fuori dai generi e dalle categorie abituali, dove avanguardia e godibilità si fondono gioiosamente, dove la critica sociale e l’avventura sonora raggiungono livelli inattesi”(4). Da notare anche l’aspetto dei testi: rispetto alle “liriche fredde e nevrotiche” dei primi dischi, in Remain in Light trova ampio spazio “un collage di materiali eterogenei, (nastri del Watergate, titoli di giornali, frammenti radiofonici e televisivi, conversazioni casuali) assemblati con la tecnica del cut-up“(5).

Il grande successo di Remain in Light sprona la band ad allestire una serie di concerti in tutto il mondo, che ebbero ovunque un grande successo. In questo contesto, si colloca la performance alla Wembley Arena di Londra della fine del 1982, confluita poi nel documentario trasmesso da Channel 4.  Riprendendo anche in video le suggestioni maturate negli ultimi lavori discografici, la immagini del concerto si alternano a spezzoni di filmati di repertorio di vario genere, attinenti a volte con i contenuti delle canzoni, oppure semplicemente quasi di commento visivo alla musica. Il variegato repertorio comprende – solo per fare un elenco parziale – scene di guerra e di guerriglia urbana, il singolare frammento di un telegiornale italiano che annuncia l’arresto di un brigatista rosso(6), immagini con effetti di esplosioni atomiche, esperimenti relativi a viaggi spaziali, filmati familiari di repertorio (con molti bambini) e così via. Ma la parte più importante e più significativa sembra essere quella che testimonia la fascinazione di Byrne per le tradizioni musicali “esotiche”, per le danze rituali, la trance, la possessione e quelli che noi oggi definiremmo “stati modificati di coscienza”, di cui vengono proposti, in un eclettismo a volte un po’ bizzarro, vari esempi e testimonianze, che seguono una sensibilità – caratteristica del gruppo e in particolare di David Byrne – che unisce le culture tradizionali con quelle metropolitane e contemporanee. Nel corso del documentario infatti appaiono immagini su rituali di guarigione, danze sufi, percussioni africane e danze africane, tamburi giapponesi, l’intervista ad uno sciamano, ma anche un veloce passaggio sul volto di Brigitte Lahale (attrice francese di film per adulti) in un momento decisamente “estatico”, scene di street dance (7) e tratte di eventi sportivi.

Questo vasto e fascinosissimo caleidoscopio di musica e immagini, comprende anche, per nostra grande sorpresa, alcuni significativi frammenti tratti dal documentario La taranta, realizzato, come è noto, da Gianfranco Mingozzi nel 1962, sulla scia della celebre indagine di Ernesto de Martino sul tarantismo salentino del 1959(8).

Le immagini tratte dal documentario di Mingozzi fanno la loro prima apparizione – nella versione con i sottotitoli in inglese – pochi secondi dopo il minuto 8 del video, alla fine del brano Life During Wartime (9), una canzone dal testo straniato in cui Byrne immagina se stesso durante un’ipotetica guerra). In particolare, vengono usate la scena con “Maria di Nardò” che balla – simulando una specie di corsa rimanendo ferma – all’interno della cappella di San Paolo a Galatina e quella con la anziana che si esibisce in una folle corsa in circolo fuori dalla cappella stessa, attorniata dalla folla, fino a cadere a terra stremata. In entrambi i casi, Byrne ci stupisce imitando esplicitamente sul palco il movimento delle tarantate, muovendosi come loro e correndo come loro!!! Seguono altri brevi frammenti con l’inizio del documentario (con il canto Mi presi la cavalla registrato dalla voce di Salvatora Marzo e l’inizio del commento del poeta premio Nobel Salvatore Quasimodo, che come è noto è uno degli elementi caratterizzanti del documentario), e la terapia domiciliare ripresa in una casa di Nardò, eseguita dall’orchestrina capitanata dal violinista-guaritore Luigi Stifani, con in sottofondo un commento di Byrne.

Al min 55 circa appare un altro frammento molto importante del documentario di Mingozzi, alternato a immagini attinenti – se non ho capito male – a viaggi spaziali. Si tratta delle riprese fatte – altra incredibile coincidenza – proprio nella chiesa del convento degli Agostiniani di Melpignano, negli ultimi anni diventato il sontuoso scenario per il concertone della Notte della taranta, che delle “contaminazioni” musicali, molto tempo dopo le sperimentazioni pionieristiche di Byrne e del suo gruppo, ne farà una sua caratteristica distintiva. Il suono del violino di Luigi Stifani che esegue la pizzica tarantata (da solo, senza altri strumenti) accompagna le immagini dell’interno del monumento, allora ridotto quasi a un rudere, e il commento di Salvatore Quasimodo:

…dove l’uomo cammina sui lentischi e sulla creta, scricchiola e si corrode ogni pietra da secoli, anche le pietre squadrate tirate su dall’uomo, le case grezze, le chiese destinate alla misura del dolore e della speranza, seccano e cadono nel silenzio. Avara è l’acqua a scendere anche dal cielo, gli animali battono con gli zoccoli …

Come si vede dal commento del poeta, che apre il documentario, sono tagliate proprio le parole iniziali che avrebbero permesso di identificare il luogo:

Questa è la terra di Puglia e del Salento, spaccata dal sole e dalla solitudine…

Infine, la tarantata Assuntina di Nardò, una delle protagoniste del documentario di Mingozzi, appare in un brevissimo passaggio, al min. 11 circa.

Once in a lifetime, oltre ad essere un documento bello e potente su una delle più importanti band di quegli anni, ritratta al massimo della sua espressività artistica (che a me piace di più del celebrato Stop Making Sense, film diretto da Jonathan Demme su un loro concerto del 1984, considerato uno dei più importanti documentari della storia del rock), rappresenta anche la testimonianza della grande curiosità di Byrne e del gruppo verso la musiche “altre”, in un momento storico in cui tutto questo era assolutamente pionieristico . Inoltre, la presenza delle immagini del documentario di Gianfranco Mingozzi(10) conferma ancora una volta la fascinazione che il fenomeno dl tarantismo salentino riesce ad esercitare su studiosi, intellettuali ed artisti. Oggi, come peraltro – nei più svariati modi – da almeno sei secoli.

 

1) Il documentario (che si può visualizzare cliccando qui ) risulta pubblicato su youtube il 15 aprile 2018 (mi è stato indicato da Andrea Cacciatore, che ringrazio insieme a Mino Specolizzi e a Donatello Pisanello che glielo avevano in precedenza segnalato), anche se ne esiste una versione in frammenti pubblicata già nel 2010. Dalle mie ricerche non risulta citato in nessuno dei testi più importanti sui Talking Heads editi in italiano. Anche nella accurata biografia del gruppo di Jerome Davis (Talking Heads, Omnibus Press London/New York/ Sydney/Cologne 1986) non ce n’è traccia.

2) “Quella di Byrne è una figura del tutto peculiare, capace di far presa persino sui ragazzini, per via di un aspetto per nulla alla moda, un physique du role curiosamente allampanato, una serie di movenze esagitate e tese e uno sguardo capace di concentrare lo stupore dinanzi all’umana follia e, in una rapidissima variazione, riprodurre quella stessa follia in una sola identità esteriore. L’atteggiamento tipico di un pericoloso paziente affetto da personalità multipla e, al contempo, dello psichiatra che ne conosce e anticipa con sicurezza la prossima mossa.” Cfr Mimma SchirosiTalking Heads. Apologia della nevrosi postmoderna, (disponibile qui: http://www.ondarock.it/rockedintorni/talkingheads.htm ), articolo che contiene una utile ricostruzione della storia della band.

3. I Talking Heads vengono consideratiIn un certo senso uno dei gruppi anticipatori della fascinazione per la word music (definizione e movimento musicale su cui però Byrne ha espresso più volte molte riserve, arrivando a dichiarare di “odiare la world music”, come si può vedere ad esempio in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=Wu_d9_VW6Qo ).

4) Ernesto Assante e Gino Castaldo, Blues, Jazz, Rock, Pop. Il Novecento americano, Einaudi 2004, p. 648.

5) Roberto Casalini, Paolo Corticelli, Rock: 500 album da collezione, Mondadori 1989, p. 514.

6) Se non ho interpretato male i frammenti video presenti, si tratta di un tg del 2 ottobre 1982 che riferisce la notizia dell’arresto di Vittorio Bolognesi, uno dei capi della colonna napoletana del partito armato.

7) e in particolare di break dance, danza di strada nata nel Bronx negli anni Settante e poi diffusasi come moda globale, in quegli anni nel pieno dell’esplosione.

8) Il documentario è stato ripubblicato da Kurumuny edizioni nel 2009 un in libro/dvd dal titolo La taranta. Il primo documentario filmato sul tarantismoI risultati della indagine di Ernesto de Martino sono invece confluiti nel classico La terra del rimorso, Il Saggiatore 1961.

9) tratto dall’album Fear of Music del 1979, che, come dichiarerà lo stesso Byrne, prende il nome da una forma di epilessia musico-genica materializzatasi ogni qual volta si ascolti della musica.

10) il documentario di Mingozzi peraltro non è citato nei titoli di coda.

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