Il Mediterraneo nella “rete” del Tarantismo

sbg09Santoro: “Un contributi di studi per evitare l’effimero estivo”

Di Maria Agostinacchio, dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 23 giugno 2019

ll tarantismo mediterraneo: luoghi e protagonisti, è il titolo del convegno di studi in programma presso il Chiostro dei Carmelitani di Nardò (Ore 18.00, ingresso libero Info. 0833 603822 ), organizzanto dall’Associazione Diotimart, le Edizioni ItinerArti, e il Comune di Nardò, con il coordinamento scientifico di Vincenzo Santoro. A distanza di sessant’anni dalla spedizione che portò Ernesto de Martino e la sua equipe nel Salento a studiare il fenomeno del tarantismo (20 giugno-10 luglio 1959), si ricorda il suo celebre saggio La terra del rimorso una importante iniziativa all’interno del programma del festival Folkbooks, sostenuto dalla Regione Puglia.

Vincenzo Santoro, dal “tarantismo in posa” alla necessità di studio sistematico. Le ragioni del convegno.

Il convegno intende da una parte omaggiare la città che ci ospita, Nardò, da cui provenivano un gruppo di straordinari musicisti “terapeuti”, capitanati dal barbiere-violinista Luigi Stifani, che l’etnologo napoletano Ernesto de Martino incontrò durante la sua ricerca e che da allora divennero celebri. Di loro proietteremo, in apertura del convegno, una straordinaria – direi infuocata – esibizione del 1967 in una prestigiosa rassegna organizzata dal Piccolo teatro di Milano. Inoltre, l’idea è di sviluppare un tema che de Martino nel suo celebre saggio accenna ma non sviluppa, anche perché allora le conoscenze in merito erano limitate: quello della dimensione “mediterranea” del fenomeno, che aveva nella Puglia la sua area “elettiva, per usare un’espressione demartiniana, ma che era diffuso, con forme diversificate, in tutto il Sud Italia, in Sicilia, in Sardegna e addirittura in Spagna. Di questa “rete rituale mediterranea” parleranno alcuni studiosi che hanno approfondito l’argomento e che ci illustreranno i risultati di loro recenti ricerche (facendoci anche ascoltare alcuni esempi di repertori musicali usati nella “terapia”). Segnalo in particolare la cose straordinarie che stanno venendo fuori in Spagna, dove non solo il fenomeno è ampiamente testimoniato nella letteratura storica, ma che risulta essere stato molto diffuso fino a pochi anni fa. Addirittura, a Fraga, una località dell’Aragona, fino agli anni 70 del secolo scorso si svolgeva una vera e propria “fiesta de la tarantula”.

Può il tarantismo essere considerato il dramma dell’ inquietudine, un legame del mediterraneo non solo riservato alle donneo?

Occorre preliminarmente dire che l’attribuzione del tarantismo alle donne è sostanzialmente un grande luogo comune, smentito da tanti dati storici sia nel Salento (dove probabilmente in linea di massima c’era effettivamente una prevalenza femminile, ma in qualunque epoca abbondano anche i maschi, a partire dal “tarantato” guarito che, riconoscente, si fa ritrarre nella pala d’altare della cappella di San Paolo a Galatina), e ancora di più nelle altre aree, dove invece spesso c’è una nettissima prevalenza maschile. Sarebbe interessante indagare sul perché, nonostante tutte queste evidenti smentite, molta pubblicistica locale ma anche parecchi autorevoli studiosi “forestieri” continuino a parlare solo di “tarantate”. Detto questo, mi pare evidente che sì, il tarantismo è stato un sistema culturale, condiviso da tutta la comunità, che serviva anche in qualche modo a tentare di dare una soluzione al dramma dell’inquietudine che incombeva sempre in quelle vite precarie. De Martino parlava di “crisi della presenza”.

Come riagganciare la proliferazione mediatica alla tradizione?

In una situazione come quella salentina, dove la mediatizzazione e la “festivalizzazione” di questo particolare aspetto della tradizione sono arrivate a livelli quasi parossistici, tenere aperto un canale di senso con la memoria culturale effettiva è sempre più difficile. Occorrerebbe offrire a chi non si accontenta delle banalizzazioni e del divertimentificio degli strumenti di comprensione e di approfondimento, ma su questo genere di azioni, nonostante un dibattito ultradecennale, non si è riusciti ancora a far impegnare le istituzioni – a partire da quella più importante e direi anche più “ricca” che opera in questo campo, la Notte della taranta – che sono le uniche ad avere gli strumenti e le risorse per impostare un lavoro culturale non frammentario e non episodico. Rimane così un lavoro di base, fatto da singoli e da piccole associazioni, che riesce ad ottenere piccoli, per quanto preziosi, risultati. In questo senso, c’è da essere molto preoccupati, perché continuando così, in poco tempo tutto si consumerà in un grande falò dell’effimero estivo, e da “valorizzare” rimarrà ben poco.

Il programma del Convegno

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