Da poche settimane è uscito nelle sale A Sud della musica. La voce libera di Giovanna Marini, documentario diretto da Giandomenico Curi e prodotto da Meditfilm in associazione con Aamod (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico), che racconta il rapporto fra Giovanna Marini, musicista sensibile e raffinata e protagonista storica del movimento del folk revival nazionale, e il Salento, terra terra dalla ricchissima tradizione musicale “popolare”. Un rapporto fecondo e appassionato, iniziato circa cinquanta anni fa e che continua ancora oggi.
La vicenda inizia intorno alla fine degli anni ’60, quando Giovanna Marini era già una delle esponenti di punta del movimento del folk revival nazionale. A quei tempi cominciò a svolgere delle “ricerche sul campo” di suoni e canti della tradizione popolare, in particolare del Sud Italia, da utilizzare per i suoi spettacoli e le sue composizioni. Per queste ragioni, visitò a più riprese il Salento: nel 1969 è a Lecce, accompagnata dall’intellettuale e scrittrice Rina Durante, a registrare, la splendida voce di Niceta Petrachi detta “la Simpatichina”; nel 1971, a Sternatia registrò le sorelle Mariuccia e Rosina Chiriacò e Stella De Santis; nel 1972 effettuò delle registrazioni a San Donato di Lecce, e così via(1).
Queste esperienze – in particolare l’incontro con le sorelle Chiriacò – segneranno profondamente la Marini(2), che dalle signore salentine venne “iniziata” alle raffinate tecniche del canto di tradizione orale del sud d’Italia, in cui coglierà un chiaro segnale di “alterità” rispetto alla musica colta e commerciale, dando alla cosa, in linea con i sentimenti del tempo, una lettura politica nel quadro del rapporto fra culture “egemoni” e “subalterne”(3).
Più volte, nel corso della sua lunga carriera, sia nei racconti che arricchiscono i suoi spettacoli che negli interventi scritti, l’artista romana riconoscerà il grande debito nei loro confronti. La lezione appresa nel Salento, oltre a consentirle di elaborare nuove modalità di composizione a partire dai materiali musicali tradizionali, costituirà uno dei capisaldi dei corsi di canto popolare che terrà in particolare alla Scuola di musica popolare di Testaccio a Roma, a partire dalla metà degli anni ‘70, dove si formeranno decine (se non centinaia) di musicisti che poi daranno vita a loro volta a gruppi musicali “di riproposta”.
I canti raccolti nel Salento, che l’artista romana riproporrà nei concerti(4) e inciderà nei dischi degli anni ‘70, diventeranno così molto noti nell’ambiente del folk revival nazionale. In questo senso, si deve forse proprio a lei una prima “riproposta” della musica di tradizione orale salentina, che ha portato all’attenzione di un pubblico ampio l’enorme ricchezza di questo repertorio(5).
D’altra parte, Giovanna Marini influenzerà in maniera determinante anche gli sviluppi iniziali del piccolo folk revival locale(6), e in particolare le modalità della “riproposta” musicale e di costruzione degli spettacoli del Nuovo Canzoniere del Salento, gruppo seminale che si formò nell’ambito del movimento studentesco leccese, il cui leader era Luigi Lezzi, che ebbe un primo folgorante incontro con la musicista romana nel corso di un concerto organizzato in un’aula universitaria(7).
In A Sud della musica il regista Giandomenico Curi e i suoi collaboratori sono riusciti a rendere egregiamente il dipanarsi di questa sorta di “storia d’amore musicale”, attraverso un appassionante racconto a più voci(8), dalle lontane origini fino ai tanti ritorni degli ultimi anni di Giovanna Marini nelle terre salentine. Una vicenda anche abbastanza emblematica del modo di rapportarsi, rispetto alle “musiche del Sud”, di diverse generazioni di artisti e appassionati, tipicamente abitanti nelle città del centro-nord – ma soprattutto romani – e spesso impegnati politicamente. Il porsi soprattutto da questo specifico punto di vista rappresenta, a mio parere, uno dei motivi di maggiore interesse dell’opera, ma forse anche un suo limite. A risentirne è soprattutto la seconda parte del documentario, che si sofferma lungamente sulle vicende della epica manifestazione antifascista del 22 ottobre del 1972 a Reggio Calabria, di cui tratta una delle più celebri canzoni di Giovanna Marini, e della venuta nel Salento di Pier Paolo Pasolini nel 1975, pochi giorni prima della morte(9). Due argomenti che per tale pubblico assumono spesso significative valenze biografiche, ma che, nel modo in cui vengono affrontati, fanno risultare quella parte del film ridondante ed eccessivamente eccentrica rispetto all’argomento principale.
Oltre all’interesse storico-culturale, A Sud della musica riserva grandi emozioni musicali, fra le canzoni che la Marini interpreta da sola o con alcuni dei suoi cori e i canti salentini eseguiti da una serie di gruppi e musicisti locali in grande spolvero (a parte il singolare episodio di Ragnarock, peraltro abbastanza fuori tema): spiccano fra gli altri lo straordinario “albero di canto” Antimo Pellegrino, il Canzoniere Grecanico Salentino, Roberto ed Emanuele Licci, Enza Pagliara, Dario Muci, “Carlo “Canaglia” De Pascalis e Rocco De Santis, che ci propongono una notevolissima carrellata di brani più o meno tradizionali, con particolare riferimento all’area della Grecìa, che fu maggiormente frequentata da Giovanna Marini.
Infine, grande emozione suscitano le apparizioni sullo schermo di due grandi protagoniste del canto popolare salentino, che ci hanno lasciato nei mesi immediatamente precedenti all’uscita del documentario: la mitica Niceta Petrachi detta Simpatichina, interprete dalla voce vertiginosa e fondamentale “informatrice” della Marini, e Bucci Caldarulo, protagonista determinante della stagione degli anni ’70 col Canzoniere Grecanico Salentino.
Insomma, A Sud della musica è un film prezioso, godibile e pieno di spunti di grande interesse, per gli amanti del genere, ma anche per chi sia interessato a un pezzo significativo della recente storia culturale italiana.
Articolo originariamente pubblicato su Insula europea e qui riproposto con lievi modifiche
(1) I risultati delle ricerche della Marini in terra salentina di quegli anni sono stati documentati nel cd doppio Il Salento di Giovanna Marini, curato da Roberto Raheli e da chi scrive, pubblicato nel 2004 dalle edizioni Aramirè e distribuito dalle Edizioni musicali del manifesto. In questo lavoro, prodotto in collaborazione con il Circolo “G. Bosio” di Roma, sono compresi, nel primo cd, i 26 brani che è stato possibile recuperare dai nastri originali registrati dalla Marini all’inizio degli anni ’70. Il secondo cd contiene invece alcune versioni d’autore di questi canti già pubblicate sui dischi o tratti da concerti. La foto, di Raffaele Puce, ritrae chi scrive con Giovanna Marini e il presidente del Bosio Alessandro Portelli nel corso della presentazione svoltasi a Sternatia il 14 aprile 2004. Una ricostruzione dell’origine del folk revival salentino negli anni settanta è contenuta nel mio Il ritorno della taranta. Storia della rinascita della musica popolare salentina, Squilibri, Roma, 2009, pp. 23-30.
(2) Così la Marini racconta uno di quegli incontri fondamentali con le sorelle Chiriacò in un libro pubblicato qualche anno fa: «Ero in giro per le mie ricerche, e a Sternatia incontro proprio Mariuccia (…). Mariuccia ci porta a casa sua, e lì si mette a cantare, con una voce possente, una tecnica precisa, completamente opposta a quella classica, diversa anche da quella della canzonetta, da quella jazz: una voce nuova per me. Così compressa che da sola ti riempie di armoniche e battimenti. Poi con la sorella si mette a cantare, per terze, ed è una cosa da brividi per la potenza del suono che riuscivano ad ottenere. (…) Sono veramente pezzi di musica d’avanguardia. Bisogna dire che le melodie del Salento sono fra le più belle in Italia. Sono canti estremamente dolci, tutti per terze, con melodie magnifiche, ben costruite». Giovanna Marini, Una mattina mi son svegliata. La musica e le storie di un’Italia perduta, Rizzoli., Milano, 2005, p. 78.
(3) Secondo Alessandro Portelli, importante studioso di culture popolari che con la Marini condivide una pluridecennale militanza politica e culturale, «fu il Salento a farle capire a fondo qualcosa che era implicito nella sua esperienza fino ad allora, ma che non era stato formulato con altrettanta chiarezza: che i suoni hanno senso perché appartengono a delle persone, e che l’identità politica, storica che le persone esprimono attraverso i suoni – attraverso il timbro della voce, l’emissione del fiato, il rapporto del suono col corpo – è il fondamento di ogni politica». E dall’esperienza salentina derivò anche un’intuizione fondamentale: «farsi mediatrice musicale della cultura popolare e contadina per un pubblico urbano e istruito non poteva consistere né in un “ricalco” meccanico, né tanto meno in una reinvenzione senza controlli, ma nell’impadronirsi delle “grammatiche” dei linguaggi popolari, e accentuarne i tratti di alterità». Alessandro Portelli, Prima cercavo i suoni, ora cerco le persone, in Il Salento di Giovanna Marini, cit., p. 7.
(4) Ad esempio lo spettacolo “Fare musica” del 1973, evocato più volte nel film, che la Marini costruì insieme al gruppo storico del Canzoniere del Lazio, aveva in repertorio diversi brani “salentini”, eseguiti in molti casi in versioni sorprendentemente filologiche.
(5) Ma anche, occorre dirlo, l’origine di incongruenze e travisamenti, come evidenzia il raffronto fra il materiale raccolto dai cantatori locali e le versioni “d’autore”. In queste, se la parte testuale, originariamente in dialetto oppure in grico, la parlata ellenofona locale, appare poco attendibile e a volte oggetto di una sorta di re-invenzione non dichiarata come tale, l’interpretazione vocale e musicale rende invece evidente una estrema attenzione verso le peculiarità della tradizione locale, a partire dalle complesse ed aspre modalità del canto di matrice contadina. Cfr: Il ritorno della taranta, cit, pp. 26-29.
(6) A quelle vicende risalgono le origini di un movimento musicale e culturale che negli ultimi anni ha raggiunto notevole visibilità a livello nazionale e non solo. Sulla sua storia, oltre al già citato Il ritorno della taranta, si può consultare anche il mio più recente saggio Rito e passione. Conversazioni intorno alla musica popolare salentina, Itinerarti Edizioni, Alessano (Le), 2019.
(7) Lezzi è presente nel film e riferisce questa vicenda, anche se il suo racconto è riportato in modo che, a mio avviso, non la rende del tutto comprensibile a chi non la abbia già presente. Per approfondimenti si può consultare il suo contributo pubblicato nel libretto del doppio cd Il Salento di Giovanna Marini, cit., p. 12.
(8) Contribuiscono al film con proprie testimonianze, fra gli altri, di Alessandro Portelli, Susanna Cerboni, Brizio Montinaro, Luigi Lezzi, Luigi Chiriatti, Massimo Melillo, Piero Brega, Paolo Pietrangeli, Antonio Infantino, Stefano Pogelli, Silvano Palamà e chi scrive.
(9) Alla memoria dell’intellettuale tragicamente scomparso Giovanna Marini dedicherà la celebre Lamento per la morte di Pier Paolo Pasolini, uno dei vertici della sua produzione.