La pizzica di Romolo Crudo

La Pizzica di Romolo CrudoLa pizzica di Romolo Crudo, regia di Tommaso Faggiano, MeditFilm, 2025, 54 minuti

da di Vincenzo Santoro
da Blogfoolk Magazine Numero 711 del 9 ottobre 2025

La pizzica di Romolo Crudo è la è la nuova produzione di Lino Pepe con Meditfilm, in collaborazione con Nostos Production, per la regia di Tommaso Faggiano, produttore e autore audiovisivo attivo nel campo del documentario d’autore e dell’antropologia visuale, non nuovo a questi temi (ricordiamo in particolare il documentario I Passiuna tu Christù, vincitore del Premio Fiorenzo Serra, tra i principali riconoscimenti internazionali dedicati al cinema etnografico). Si tratta di un oggetto filmico – che si potrebbe con qualche approssimazione definire “docufiction” – di notevole qualità estetica, godibile a più livelli di lettura, e suo modo straniante.

«Io ballo perché amo la libertà: e questa è la mia storia». In prima battuta, si vuole presentare la singolare vicenda di Romolo Crudo, 74enne di Taurisano, piccolo centro dell’estremo sud della provincia di Lecce, che entra in scena raccontando i suoi anni da ragazzo. Nato in Belgio, dove il padre emigra per lavorare nelle famigerate miniere, si trasferisce nel paese di origine della famiglia da adolescente, in un contesto sociale e culturale assai distante da quello fino ad allora conosciuto, in cui i più vivevano in condizioni economiche precarie. Infatti ammette: «Il mio ritorno in Puglia è stato traumatico, però io ho accettato questa realtà cruda, e ho ammirato l’arte di arrangiarsi che avevano i taurisanesi». Uno squarcio realmente istruttivo di cosa fosse il Salento “reale” in quegli anni, ben distante dalle rappresentazioni idealizzate oggi tanto ricorrenti. Il protagonista, in tempi più recenti, è diventato – soprattutto grazie ad un uso insospettabilmente efficace dei social network – uno degli “eroi” della scena salentina della riproposta della musica e del ballo “tradizionali”, oggetto da ormai un paio di decenni di forme di spettacolarizzazione (nelle varie declinazioni di pomposi concertoni/evento e di concerti-concertini-sagre, in ogni caso mai esenti dal rischio del cattivo gusto) che agiscono da attrattore turistico ma che restano anche un grande fenomeno di base e “popolare”, con centinaia di seguaci che si ritrovano frequentemente ai concerti programmati dai cartelloni estivi come in raduni spontanei e spesso improvvisati, sempre per praticare il ballo della pizzica pizzica, assurto a marcatore identitario delle terre salentine.

«Quando arriva l’estate, vado a tutte le feste, per ballare la pizzica pizzica». Assiduo frequentatore di concerti e raduni, Romolo Crudo riveste un ruolo pubblico ampiamente riconosciuto e si divide fra le tante “pretendenti” al ballo, approdando spesso sui palchi nei momenti clou delle esibizioni dei gruppi locali. Ogni mossa è scrupolosamente documentata da foto e video, spesso realizzati dalla moglie, che finiscono inesorabilmente sui social più popolari. Il film riesce a restituire le audaci esibizioni e i contesti esecutivi in scene molto efficaci e coinvolgenti, ambientate nelle piazze salentine parate a festa (fra cui quella “fatale” di Galatina), tripudianti di luci, colori intensi e suoni ammalianti. Nonché, ovviamente, di balli sfrenati.

«La pizzica pizzica è un ballo che nasce dal mondo contadino. Allora si ballava per scacciare il dolore e la fatica. Oggi si balla solo per divertimento». Costellano la storia anche le chiose del protagonista che, nella perenne polemica fra “puristi” e “contaminatori” che accalora il dibattito locale (e non solo) sulle modalità più corrette di esecuzione musicale e coreutica, spesso interviene in maniera accorata a favore della necessità di ritornare alla “vera pizzica”, da ballare come nella tradizione, di cui lui sarebbe un depositario per età e esperienza, avendo partecipato a balli e feste “prima della moda”, o dell’avvento di quello che chiama – secondo un’accezione a cui si ricorre in tutto il Meridione per ben altri ambiti – il “sistema della pizzica pizzica”. Con uno stile asciutto e non celebrativo, Faggiano affida il centro della scena alle considerazioni che informano l’agire del protagonista, con esiti di surreale realismo che smontano la ricercata seriosità dei temi affrontati. Emblematica, da questo punto di vista, la rappresentazione del rapporto conflittuale con la figlia Manuela – uno dei temi rilevanti del film – che proprio la comune passione per il ballo popolare riesce e risolvere, solo dopo però un memorabile e gustoso litigio in schietto dialetto salentino. Anche altre scelte, come quella di evitare di coinvolgere nei balli le ballerine più celebrate, sembrano volere andare a vede cosa succede nelle piazze lontano dai momenti di spettacolo più eclatanti. A moltiplicare gli sguardi d’altro canto ci pensano gli onnipresenti smartphone su cui rimbalzano contenuti social, presenza ingombrante che occupa larga parte del tempo dei protagonisti, eppure decisiva nel determinare la realtà in cui si muovono (come peraltro accade ormai a quasi tutti noi).

«Due droghe c’ho: la corsa e la pizzica pizzica». Romolo Crudo però non è solo un audace ballerino: la sua (forse prima) passione è anche la corsa, che pratica fin da giovane a livelli agonistici e che continua a esercitare assiduamente anche nella maturità, con grande dedizione e una forza invidiabile. In alcuni dei momenti più convincenti e altrettanto stranianti del film, la telecamera lo segue nelle sue lunghe scorrazzate fra le campagne dell’estremo lembo meridionale del Salento, in cui l’antica bellezza sopravvive sempre più assediata dalle devastazioni di ulivi essiccati, abusivismo edilizio e invadenti impianti fotovoltaici industriali. Il film è impreziosito da un raffinato commento musicale di Samuel Mele, che enfatizza il contrasto con le pizziche pizziche eseguite dai palchi, il più delle volte lontane dai codici tradizionali tanto richiamati nella “filosofia coreutica” che anima il protagonista. “La pizzica di Romolo Crudo” è un lavoro di notevole interesse, che riesce a rappresentare in maniera complessa e non oleografica (oltre che divertente) il ricco e contraddittorio “cantiere antropologico” che è il Salento di oggi, il cui interesse credo possa andare anche oltre il territorio di riferimento.

Qui il trailer:

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