Tarantismo dimenticato. Quando Taranto era al centro del rito oggi celebrato a Lecce

Estratto 21 L'EDICOLA 20250927_page-0001di Vincenzo Santoto

da L’Edicola, 27 settembre 2025

Nei giorni scorsi Antonio Annichiarico, riflettendo intorno a quella che potremmo definire una forma di “marginalizzazione culturale” di Taranto, ha posto l’attenzione su un aspetto a suo modo emblematico: l’asimmetria tra la rilevante presenza storica del fenomeno del tarantismo nella provincia ionica e l’assenza della stessa area dal processo di valorizzazione della memoria dell’antico rito e delle musiche e delle danze (più o meno) tradizionali che, a partire almeno dalla seconda metà degli anni ’90, ha riguardato soprattutto il leccese, con gli esiti clamorosi (per quanto per alcuni aspetti controversi) ormai sotto gli occhi di tutti.

Da molti punti di vista, non si può che essere d’accordo con questa analisi. Rispetto alla primogenitura infatti, una gran mole di fonti scritte e testimonianze orali attesta la significativa presenza del tarantismo a Taranto almeno dal tardo Medioevo, come ricostruisco in un capitolo dedicato ne Il tarantismo mediterraneo (Itinerarti 2021). Già il Sertum papale de venenis del 1362 – la prima fonte storica relativa al fenomeno – individua Taranto come epicentro, come al capoluogo ionico si riferisce un altro documento antico e significativo riemerso di recente, una lettera del 1470 dell’umanista Elisio Calenzio, forse la prima testimonianza dal vivo.

E si potrebbe continuare citando diversi esempi, come le stravaganti trattazioni dell’erudito gesuita del secolo barocco, Athanasius Kircher, o i vivaci resoconti di alcuni “turisti” del Grand Tour e le numerose relazioni e “dissertazioni” di medici e studiosi locali. Testi che spesso si interrogano sul legame Taranto-tarantismo-taranta-tarantella, che non appare per nulla casuale.

Il fenomeno prosegue nel capoluogo fino ai primi del ’900, e nella parte più meridionale della provincia anche fino agli anni ’70 del secolo scorso, caratterizzato da elementi di continuità e, al contempo di differenza rispetto alla più nota declinazione nel leccese (a cominciare dalla mancanza della decisiva connessione col culto popolare di san Paolo, assente peraltro in tutte le altre ricorrenze conosciute, in Puglia come nelle zone di ulteriore diffusione del Sud Italia, nelle Isole maggiori e in Spagna).

La documentazione più eclatante degli ultimi decenni di vita del singolare rito è certamente quella raccolta dal celebre folklorista Alfredo Maiorano che nel 1950, con un registratore rudimentale acquistato a sue spese, documenta una serie di canti tradizionali (tuttora sconosciuti ai più), fra cui una bellissima “Taranta di Lizzano”, il più remoto esempio di musica “terapeutica” giunta fino a noi in versione ascoltabile. Nel museo comunale a lui dedicato a Taranto vecchia, sono esposti anche alcuni oggetti relativi a quella pionieristica ricerca, caso rarissimo di esposizione in una struttura pubblica dei dispositivi del rito: un violino, un tamburello, alcuni drappi colorati eccetera.

Questa articolata vicenda è poco nota anche agli specialisti probabilmente perché il punto di riferimento degli studi (e non solo) sull’argomento continua a essere il capolavoro demartiniano La terra del rimorso (1961) che, pur non tacendo sulla diffusione ben più ampia, concentra la ricerca sul terreno e dunque la restituzione etnografica sui casi osservati nel leccese. Se il grande antropologo e i suoi collaboratori si fossero spostati qualche chilometro più a nord, avrebbero trovato nelle campagne e nei paesi del tarantino meridionale il rituale ancora in funzione.

Occorrerebbe a mio avviso chiedersi perché attorno a una tale quantità e qualità di documenti e di memorie non sia stata mai costruita una strategia organica di “valorizzazione”, a differenza di quanto è stato fatto nel leccese. Più che invocare “risarcimenti” (per quanto simbolici), sarebbe forse utile definire finalmente un progetto in questo senso, che coinvolga le varie istituzioni, gli studiosi, i tanti musicisti, i danzatori e gli appassionati. Magari anche cercando di rivelare le sotterranee connessioni fra il tarantismo e i suoi antecedenti “rituali orgiastici”, che nella Taranto magnogreca trovarono enorme diffusione, come sembrano dirci le eccezionali testimonianze figurative conservate al MArTA.

 

 

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