Nel dono della voce

acvllFimmana, mare e focu! di Anna Cinzia Villani e Macurano Orchestra da AnimaMundi

La voce antica, si è riempita di sfumature e di storie, ha assorbito le cellule vitali di un archivio sonoro fatto di voci, di esperienze e di singhiozzi… Di tempo trascorso ad ascoltare…

di Luisa Ruggio

da Il Paese Nuovo del 21 aprile 2012

Quando ero alle elementari, la parola “ricerca” mi faceva venire i brividi: si trattava di aprire la cassapanca di mia madre e scavare tra scampoli di stoffe lise, lenzuola ricamate a mano, lettere tenute insieme da un nastro di raso azzurro e vecchi libri di scuola, i suoi. Il profumo di quella carta era saturo come le arance, quando raggiungono il massimo grado di maturazione e si staccano dal ramo, rotolando nei giardini segreti. Non avevamo una vera enciclopedia in casa, eppure quelli erano gli anni delle enciclopedie comprate a rate dai commessi viaggiatori, uomini di mezza età che bussavano alla porta mentre si cuoceva il ragù, si toglievano il cappello e spiegavano l’importanza di uno strumento di ricerca diviso in volumi illustrati. Il fatto è che mia madre aveva ereditato un cospicuo numero di libri scappando di casa a diciotto anni, mia nonna glieli aveva tirati dietro appena la rivide: quei libri erano quanto di più lussuoso si fosse mai concessa, rompendo con la tradizione degli antenati analfabeti che si contentavano di tramandarsi storie del cuscino da raccontare vicino al fuoco e rimedi magici contro il mal d’amore e i fascini.

Durante l’adolescenza, mia madre era riuscita a riempire interi scaffali da cucina coi libri dalla copertina azzurra che la Mondadori mandava in edicola per poche lire, mentre la sua collezione si arricchiva, mia nonna cercava altri posti per i mortai, i barattoli, i macini. Tra i libri che presero spazio c’era anche un’enciclopedia a colori, una specie di antesignana de I Quindici, l’enciclopedia per ragazzi che spopolò negli anni Settanta. Quando la maestra dettava i compiti per il giorno dopo e si soffermava sulla parola “ricerca”, sapevo che avrei trascorso il pomeriggio tuffandomi a capofitto in quei volumi dai bordi ingialliti. E quando quei libri non rispondevano ai miei interrogativi e la ricerca risultava vaga, tormentavo tutti quelli che mi capitavano a tiro, con le mie domande su questo o quello. Era un modo di fermare con un gesto ultimo tutto quello che alla ricerca cercava di sottrarsi, scivolando nell’oblio, un angolo temporale pieno di cose smarrite.

Chi cerca in quell’angolo per fare i compiti del giorno dopo è uno scolaro, chi cerca in quell’angolo tutta la vita è un palombaro. Se penso a un palombaro salentino, mi viene in mente Anna Cinzia Villani – cantante, danzatrice, tamburellista e ricercatrice – e penso a che cosa deve essere stata la sua ricerca paziente dei suoni e dei canti della tradizione musicale popolare, un tessuto sonoro trasmesso da donne che sono diventate centenarie, con le loro facce del secolo scorso ereditato da ritratti color seppia, dagherrotipi, camei. Anna Cinzia Villani ha fatto della ricerca sul campo la sua ragion d’essere, ha cominciato bussando alla porta dei cantori popolari che da tempo si erano chiusi in un silenzio mnemonico, mossi dal rifiuto di rinvangare i tempi di una miseria endemica, i canti che lei gli chiedeva di ricordare, infatti, erano la cifra della fatica di vivere. Durante le feste e i raduni, lo spirito di quegli uomini si ravvivava come la brace e lei poteva attingere a piene mani, con un piccolo registratore e un orecchio raffinato. Erano gli anni Novanta, anni in cui il fermento della riscoperta delle vecchie tradizioni musicali nasceva da una costola degli anni Settanta, quando gruppi ancora attivi, come il Canzoniere Grecanico Salentino, si rimboccarono le maniche per salvare quello che poi da altri sarebbe stato travisato.

Da allora, la voce antica di Anna Cinzia Villani, si è riempita di sfumature e di storie, ha assorbito le cellule vitali di un archivio sonoro fatto di singhiozzi, improvvisazioni, scarno, privo di arrangiamenti artefatti. La sua ricerca e la sua voce sono un dono per il Salento, nel senso più poetico del termine: questa artista ha conquistato la scena dopo aver parlato con le nostre nonne, depositarie di ore leggendarie, intagliate nella stessa sostanza dei loro canti che ci parlano delle calde esalazioni dei gerani, delle corti in cui si arrampicava l’amore, dell’alba sui binari sovraccarichi di partenze senza ritorno, dei grilli stonati nell’aria di una serenata, dell’odio per la terra e dei capricci del destino. Da poco è uscito il nuovo lavoro di Anna Cinzia Villani e MacuranOrchestra, si tratta del disco Fimmana, mare e focu!, promosso da AnimaMundi: un percorso nuovo, che racconta il Salento al femminile ma da una prospettiva diversa, non più quindi attraverso lo sguardo dell’uomo innamorato. A parlare, nelle tracce che compongono il disco – a firmarne la direzione musicale è un altro grandissimo della scena musicale contemporanea, Valerio Daniele – sono donne dall’erotismo ironico e disperato, “femmine” che hanno mancato il loro destino come l’autrice sottolinea nelle liriche Luntananza e Tridici stelle. La forza della musica popolare si combina con arrangiamenti che sono capolavori.

L’apertura è un sentito omaggio al compianto Piero Milesi. Ìjo pucanè, brano dal sapore molto diverso dal resto del disco, il cui testo è stato scritto da Gianni De Santis, fu arrangiato dal maestro Milesi per la voce della Villani e divenne la sigla di apertura de La Notte della Taranta del 2001. Il packaging, in carta riciclata, ospita in copertina un particolare di Scarpette rosse (2006), un’opera di carta di Teresa Ciulli (teresaciulli.blogspot.com), mentre il libretto interno di sedici pagine contiene le traduzioni in italiano e in inglese di tutti i testi. Tra i musicisti, oltre alla Villani (voce e tamburello), compaiono Annamaria Bagorda (organetto), Vito De Lorenzi (batteria etnica, tamburello, percussioni), Valerio Daniele (chitarra acustica, direzione musicale), Giorgio Vendola (contrabbasso), Daniele Girasoli (voce, violino, armonica, marranzano), Giorgio Distante (tromba), Gaetano Carrozzo (trombone). Così, in questo implacabile passaggio alla maturità, Anna Cinzia Villani ci consegna la ricerca di una vita che ha tentato di risalire, con successo, l’albero di una genealogia musicale che culmina in un ignoto punto della nostra storia.

 

per leggere la recensione del cd scritta da Vincenzo Santoro cliccare qui

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