Giù le mani dalla vera Pizzica

La pizzica che diventa trendy un fenomeno per fare quattrini. Chi danzava stava male, non era un spettacolo da baraccone. Oggi invece ovunque ormai non si balla altro

di Mario Desiati

da La Repubblica di Bari, 22 luglio 2005desiatiBasta, per carità, basta con la Pizzica. Non ne possiamo più. Si è vero la Notte della Taranta che viene oggi presentata in una grande conferenza stampa istituzionale è l´evento della nostra estate. Fa bene al turismo e mette l´anima in pace alle istituzioni rispetto ai giovani precari e un po´ arrabbiati. Ma è possibile che un pugliese deve subire in ogni consesso pubblico questa umiliazione?

Ogni torrida estate, ogni refolo di bella stagione significa feste etniche, sedani bagnati e vino sfuso di cattiva qualità, un paio di tamburelli e una fisarmonica, le puntuali grida di qualche esagitato: “Balla la pizzica, balla la pizzica tu che sei pugliese” indicandomi con il dito, il battito ritmico delle mani a seguire una musica distonica e i fianchi esposti a un tremore senza sprezzo del ridicolo. Party etnici radical chic, mostre del folclore, feste a tema e altre scemenze elitarie dove le sciure metropolitane vanno in estasi per tutto quello che è antropologicamente primitivo: i tenores sardi, la tarantella salernitana, la quadriglia bulgara e la viddanedda calabrese. Questo pout-pourri per loro ha un solo nome: Pizzica!

Niente sembra immune a tutto questo: centri sociali, piazze e sagre paesane, istituti di cultura, associazioni di volontari e sale da ballo fanno a gara a organizzare eventi. I più agghiaccianti sono i “pizzica-rave“, dove bivaccano comunità di “sfattoni” con magliette di gruppi metallari anni Novanta. Ma è la moda del momento, del lustro, del decennio. Come il tango negli anni ´80 e il latino americano nei ´90 adesso è l´ora della Pizzica, di Santu Roccu e Santu Paulu, dell´uomo che si avvicina e la donna che si allontana, della Luna otrantina cantata in bergamasco. Altro che Ernesto de Martino, altro che i suoi splendidi studi su quello che rappresentavano i morsi delle tarantole e sul significato allegorico di quel ballo. Il ritorno alle origini, la ribellione all´immanentismo e alla piemontesizzazione forzata. Tutto lo studio psicopatologico sul perché e percome la taranta fosse connessa a un doppio disagio, economico ed esistenziale. Chi danzava stava male, non era uno spettacolo da baraccone. E poi altro che l´esordio singolare di un regista evocativo come Winspeare che rilanciò nei primi suoi film la dimensione onirica di una danza che veniva finalmente ristudiata.

Poi è successo che la Pizzica è sfuggita agli studiosi e ai suoi amanti. Adesso tutto è nelle mani di due categorie micidiali: una è quella di chi ha fiutato il business raccogliendo anche sovvenzioni pubbliche per sagre da suicidio e concerti orrendi, feste con bottiglie di pessimo vino fatto con la polvere spacciato per Negroamaro e primitivo di Manduria, musicisti (sic!) che non suonerebbero neanche nella banda di Pintopitò diventanti maestri del tamburello, ciarlatani che aprono corsi di pizzica in palestre fighette nei centri metropolitani e universitari a 50 euro l´ora per vecchie carampane che vogliono “fare la pizzica”. Altra categoria è quella delle tipe con le gonne lunghe, le cavigliere, i sandali e piedi sporchi avvolte in sacchi di iuta che sventolano drappi rossi come se fossero a una corrida a o allo stadio. Il mondo delle ascelle marce, ma il portafoglio pieno, che trasforma la cultura in folclore e l´antichissima tradizione in moda sguaiata. È una mania cialtrona tutta italiana e piccolo borghese di piegare al suo trito divertimento il suono incalzante di una fisarmonica, l´espressione dilaniata di una donna, questa volta vera, come le tarantolate raccontate da de Martino, le foto di Franco Pinna e Pablo Volta, travolte dal gusto cialtrone del nostro paese di dilettanti.

 

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi

Lascia una risposta