Perché non partecipiamo alla Notte della taranta

Intervista a Roberto Raheli

di Giorgio Meneghetti, 27 novembre 2005raheli

Parliamo con Roberto Raheli, fondatore del gruppo di musica salentina Aramirè, del rapporto tra musica tradizionale e riproposta per comprendere le ragioni per cui da sempre il suo gruppo boicotta il festival e il concertone La Notte della Taranta.

Sin dall’inizio, tu e il tuo gruppo, Aramirè, vi siete opposti in maniera netta alla manifestazione de La Notte della Taranta. Questa convinta decisione trascende l’aspetto musicale?

Da conversazioni con persone presenti a Melpignano, fra l’altro musicisti e suonatori, che poi hanno riascoltato la registrazione del concerto, è venuto fuori che stando lì non avevano avuto la percezione dei disastri musicali, di cui si sono resi conto con il riascolto, perché contagiati dall’entusiasmo generale. Ecco perché io credo che la notte della taranta sia ANCHE un concerto ma il suo successo si basa per lo più sull’aspetto di marketing sul quale Sergio Blasi, sfruttando l’onda preesistente del successo della “pizzica”, è stato molto bravo a lavorare. Con i soldi pubblici.



Come Aramirè, attorno al 1997, avete contribuito alla fondazione dell’Istituto Diego Carpitella con gli obiettivi principali di difendere e diffondere la cultura orale del Salento. L’idea dichiarata chiaramente in principio era quella di raccogliere la maggiore quantità possibile del materiale riguardante soprattutto la musica tradizionale salentina e il tarantismo in particolare. Già nel 1998, però, è nata la rassegna La Notte della Taranta che, a quanto pare, ha “risucchiato” tutte le risorse economiche e potenzialità culturali dell’Istituto Diego Carpitella.

È vero, come Aramirè eravamo dentro al progetto iniziale dell’Istituto Carpitella, che però poi ha tradito in modo totale gli scopi per cui era stato concepito, dedicando tutte le energie all’organizzazione del festival e abbandonando ogni sforzo di ricerca, studio ed archiviazione della musica e della cultura tradizionale. La Notte della Taranta arriva in un contesto delicatissimo di riappropriazione di canti quasi perduti, come un elefante in una cristalleria. Che cosa resterà dopo? Il deserto. Ecco perché mi incazzo, con Blasi che utilizza la “pizzica” per costruirsi una carriera politica; con Ambrogio Sparagna, “allievo di Carpitella”, come lui ama definirsi, che dovrebbe avere gli strumenti cognitivi per capire il problema; con chi è passato, da un atteggiamento di critica totale, alla collaborazione con il festival, dando l’impressione che l’interesse personale o il ritorno di immagine contino, alla fine, sempre di più di ogni altra cosa. Sono “etnico incazzato” con questo Salento che, alla fine, si vergogna sempre di se stesso. Il che è la ragione ultima dell’esistenza della Notte della Taranta.

Quali sono, dunque, le motivazioni che vi hanno portato a rifiutare la vostra partecipazione a La Notte della Taranta?

Partecipare alla Notte della Taranta sarebbe stata la via più semplice e più remunerativa in termini di ritorno di immagine e di successo del gruppo (quindi anche con un ritorno economico non sottovalutabile). Tuttavia io sono convinto che la musica salentina, più o meno sopravvissuta alla rimozione operata a suo tempo dagli anziani stessi, non abbia sviluppato musicalmente che una ridicola frazione delle sue potenzialità. Il peso elefantiaco della Notte della Taranta crea omologazione e appiattimento (pensa ai giovani che si avvicinano alla “pizzica” avendo a modello il concertone) e quindi rischia di distruggere sul nascere ogni forma di approfondimento che può essere la vera risorsa su cui puntare. La musica salentina avrebbe avuto bisogno di crescere in pace, di recuperare il recuperabile, di consolidarsi permettendo la formazione di giovani leve in reale sintonia con i moduli musicali tradizionali, non perché bisogna fare la riproposta a ricalco, approccio che io non condivido, ma perché solo acquisendo davvero la grammatica musicale dei nostri anziani è possibile andare avanti conservando e sviluppando una ricchezza che viene dimenticata e perduta sempre di più ogni giorno che passa. E questo discorso, che viene frainteso ogni volta che lo faccio, non ha come obiettivo il tornare indietro, il che è una pretesa di tale assurdità che ci da delle chiare indicazioni del livello intellettivo (intellettivo non intellettuale) di chi la formula. Questo discorso al contrario ha l’obiettivo di andare avanti. Solo se si conosce la grammatica musicale tradizionale si possono concepire nuovi brani, si può cioè rivitalizzare la musica di tradizione.

Da certe tue dichiarazioni pubbliche sulle numerose discussioni nel forum di www.pizzicata.it, devo ammettere che a volte mi è venuto da pensare che il tuo pensiero possa essere un po’ troppo intransigente, non senti il pericolo di poter essere interpretato come un “integralista salentino”?

Questo non è un discorso improntato a scelte ideologiche o di appartenenza identitaria o che cela risvolti politici leghisteggianti. È solo un discorso musicale. Ecco perché io non mi sento né intransigente né tanto meno integralista. Se tu ascolti i nostri CD ed i nostri concerti non puoi non notare che la nostra musica è tutt’altro che integralista. Per me però è lampante che i canti degli anziani sono solo la superficie di un mondo musicalmente ricchissimo e bellissimo, e quei canti è necessario che vadano ascoltati non solo nella forma esteriore, che può risentire dell’anzianità dei cantori, della situazione, dell’improvvisazione della registrazione, in cui magari persone che non si conoscevano neppure si trovavano a suonare insieme, di mille problemi “tecnici”. La forma esteriore può presentare difetti ed errori, ma dietro si intravede un mondo musicale affascinante, che non è neppure indagato, non parliamo poi di essere compreso e studiato e, possibilmente, sviluppato. Fra gli integralisti musicali (la cui presenza però è solo teorica, fammi il nome di un integralista, per favore) e i contaminatori da Notte della Taranta chi preferire? Stando le cose come stanno, se oggi nascesse un integralista e facesse musica salentina in maniera integralista, pur non essendo convinto della necessità della riproposta a ricalco, lo preferirei a questa banda di musicisti e suonatori che nascondono la povertà creativa dietro l’aggiunta di strumenti moderni, che pensano che gli anziani cantavano male e cantano come se fossero al festival bar, che non si accorgono che con tanto fermento sulla musica tradizionale salentina e sulla “pizzica” gli unici gruppi salentini che esprimono il Salento sono i Negramaro e i Sud Sound System che non hanno nulla a che fare né con la pizzica né con la cultura popolare. In realtà di integralisti non ce ne sono e la loro presenza è inventata ad arte per poterli agitare come spauracchio di spinte reazionarie alla “purezza” e all’isolamento, al contrario della Notte della Taranta che invece, progressista quasi “per contratto”, persegue lo scambio e il meticciato. Ma meticciato de che? Il meticciato non nasce a tavolino, avviene quando si creano le condizioni reali, nella vita quotidiana, quindi con mutamenti profondi della società. Stiamo con i piedi per terra, per favore. Io non mi sento reazionario se canto e suono sforzandomi, con tutti i miei limiti, di farlo “alla salentina”. Senza che ciò significhi volermi isolare o voler imporre niente a nessuno, o voler sfuggire al confronto. Abbiamo girato il mondo con i concerti di Aramirè, abbiamo suonato con irlandesi, americani, spagnoli, sardi. Senza complessi di superiorità. Ma neppure di inferiorità. E il complesso di inferiorità salentino è sempre il problema vero. Una domanda la faccio io. Come mai, oggi che la “pizzica” ha tanto successo ovunque venga suonata, noi salentini (o meglio alcuni salentini), attraverso la Notte della Taranta di Sparagna la trasformiamo in saltarello? (O in rock, jazz, pop, musica classica andando indietro a quelle di Copeland, di Zawinul, di Cosma, di Milesi, di Sepe). Con tutto il rispetto possibile ed immaginabile per il saltarello ed i suoi suonatori o per qualsiasi espressione musicale, stante la moda della “pizzica” non sarebbe normale, seppure altrettanto errato, aspettarsi il contrario? È il complesso di inferiorità salentino che lavora e che fa vedere brutta la musica che per me invece è la più bella del mondo e quindi fa desiderare di stravolgerla. E perderla.

Quali sono secondo te i limiti invalicabili della cosiddetta musica di riproposta? Si tratta di limiti musicali o di altro? Diego Carpitella disse più o meno che gli estremi nell’ambito della riproposta erano da un lato un atteggiamento necrofilo verso il documento originale della tradizione orale e dal lato opposto troviamo la sommarietà e la grossolanità di chi nega l’esistenza oggettiva dell’originale e arriva a mettere sullo stesso piano la tradizione e la riproposta.

Sono assolutamente d’accordo con le parole di Carpitella che riferisci. Io da parte mia credo che non ci sia nulla di male negli apporti creativi, più o meno spinti, da parte di chi ripropone, la cosa che mi fa andare in bestia è l’ambiguità. Se uno propone un concerto ultra contaminato, ma poi per venderlo sfrutta l’onda della musica “popolare” (o come la si voglia chiamare) dichiarando che invece il suo concerto è un concerto di musiche di tradizione, dà un’informazione distorta al pubblico. Non credo che chi agisce così sia in buona fede. O meglio, o è in malafede e lo fa per vendere di più, oppure è realmente superficiale. Però la superficialità può provocare a disastri.. Chi propone deve avere il coraggio di dichiarare quello che fa. In ogni caso sarà il pubblico a giudicare. Anche perché non è detto che una brutta riproposta che aspira ad essere filologica sia meglio di una bella riproposta contaminata, o viceversa. In ogni caso resto convinto del fatto che solo chi conosce approfonditamente l’oggetto su cui si vuole intervenire ha più titolo per modificarlo. Ecco perché mi meraviglio del risultato musicale (disastroso) dell’allievo di Carpitella, Ambrogio Sparagna. D’altra parte tutti quelli che si sono avvicinati alla “pizzica” con occhio attento a non scontentare i pizzicaroli alla moda, che possono modificare? Possono tutt’al più suonare cose totalmente estranee alla musica di tradizione che stanno a quest’ultima come un pescecane sta a un delfino. Entrambi vivono nel mare ed hanno tutti e due la pinna sul dorso. Ma sono assolutamente diversi.

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