Puglia terra di musica
Convegno sulle politiche di tutela e valorizzazione dei patrimoni tradizionali in Puglia
di Viviana Leo
tratto da www.musicaround.net, febbraio 2007
Tutela, salvaguardia, valorizzazione, promozione, sono stati i punti focali di una discussione durata molte ore che ha visto alternarsi negli interventi nomi altisonanti dell’intelligentia salentina. Nato da una proposta della web community www.pizzicata.it, il convegno si è tenuto ad Alessano, provincia di Lecce, il 2 febbraio scorso. Il dialogo con le istituzioni è stato preceduto da un interessante work-shop, con un dibattito animato dagli operatori del settore musicale tradizionale salentino: musicisti, studiosi, cultori, ricercatori, che hanno stilato il punto della situazione sul disagio che affligge attualmente le categorie presenti.
Valorizzare il patrimonio culturale non equivale necessariamente a mercanteggiare le ricchezze di una comunità, ma vuol dire anche svilupparle e tutelarle, mettendo gli operatori di base nelle condizioni di poter lavorare dignitosamente. Un nodo cruciale del dibattito, infatti, è stato l’assenza di sostegno per i ricercatori. La necessità è di vitale importanza soprattutto in questi anni, quando gli ultimi «alberi del canto» stanno via via scomparendo. Un’operazione di urgent anthropology che richiede provvedimenti immediati.
La ricerca finora si è perpetuata attraverso il lavoro personale di appassionati che a proprio rischio, e con le proprie risorse, sono partiti in spedizioni sul campo a registrare canti, musiche, balli, testimonianze di vita: operazioni che rendono possibile un contatto con la figura dell’anziano, uomini e donne la cui lunga esperienza di vita ha circondato loro di un’aura speciale: l’anziano è il saggio canuto di molte storie di fantasia, che diventano realtà quando ci si ritrova di fronte a questi «monumenti viventi». Generazioni che siincontrano e che riscaldano i rapporti sociali e personali: perché la ricerca non può possedere solo criteri scientifici, è fatta da persone, tra persone, che meritano il rispetto per la trasmissione dei valori che concedono.
La considerevole mole di frutti che le ricerche hanno prodotto ha dato vita ad una quantità cospicua di archivi privati che per ora possono solo rimanere custoditi nelle mura domestiche di chi li ha creati, impedendo ad altri studiosi di poter attingere a tale materiale se non attraverso favori amichevoli tra ricercatori (che non avvengono molto spesso). L’auspicio è quello di censire, catalogare con criteri standard e ordinare in un unico contesto il materiale reperito.
L’UNESCO nel 2003 ha approvato una convenzione per la «salvaguardia del patrimonio immateriale» che attende ancora la ratifica da parte dell’Italia. All’art.13 di tale documento è scritto che si incoraggiano «i Paesi del Mondo ad adottareappropriate misure legali, tecniche, amministrative e finanziarie affinché si costituiscano dei Dipartimenti per la Documentazione del loro Patrimonio Culturale Immateriale e affinché quest’ultimo venga reso più accessibile», invitando a costituire «archivi e sistemi di documentazione» (1). Proprio ciò di cui necessitano gli studiosi salentini.
È proprio negli ultimi mesi che l’Italia ha risposto a questo lontano invito decidendo di creare una commissione di esperti che stilerà la lista dei beni immateriali presenti nella cultura tradizionale italiana. Prima di muovere questo passo, l’unico bene appartenente alla cultura tradizionale segnalato per l’Italia era l’opera dei Pupi Siciliani. Tra i nomi illustri della commissione, presieduta da Paolo Apolito, presenzia lo studioso pugliese esperto di espressioni coreutiche tradizionali Pino Gala. È questa una grande occasione che si gioca tra le file dei meandri culturali: dopo il fascismo nessun governo nazionale si è interessato di cultura tradizionale.
A proposito degli archivi si è discusso anche della Fondazione Notte delle Taranta, progetto che, tra l’altro, si «occuperà di fornire la formazione e la ricerca» (Sergio Torsello, responsabile scientifico Istituto Diego Carpitella), cercando di colmare quel gap che si era creato tra evento mediatico estivo e mancato investimento sull’archivio, proponendosi tra gli scopi maggiori quello della documentazione.
Inizialmente, poco più di un decennio fa, le istituzioni erano restie a sovvenzionare eventi legati alla musica popolare – che ha poi dato vita a quello che maggiormente è conosciuto come movimento della pizzica -, ma da quando è emerso che investire su quella realtà sarebbe stato un giusto passo per l’economia turistica del paese, si è creata una situazione di svendita del prodotto musicale che non restituisce dignità alla cultura stessa.
Elemento ampiamente emerso è il malcontento generale rispetto alle politiche, tese a favorire i grandi eventi mediatici senza destinare fondi proporzionati alla tutela dei beni culturali che, mancando, espone ancora di più la «musica e la cultura orale all’erosione della cultura dominante. I grandi alberi del canto continueranno a sparire per limiti d’età e di queste persone rimane una memoria interrotta» (Vincenzo Santoro, responsabile Ufficio Cultura ANCI).
La regione Puglia e le istituzioni sono interessate a questo tipo di problematiche e stanno cominciando
ad investire su questi temi. Tutti d’accordo sulla pluralità e la salvaguardia della diversità degli eventi, sul bisogno di una didattica volta alla formazione dei musicisti, sulla necessità di una crescita professionale per i musicisti stessi.
Gli «Stati Generali della Pizzica», così ha definito l’incontro Donato Margherito, consigliere provinciale, si sono conclusi con un’esibizione di Anna Cinzia Villani, Maria Mazzotta, Massimiliano Morabito e Gianni Amati, ensemble di musicisti e giovani ricercatori che ha presentato lo spettacolo «Li Guai Te La Pignata», una serie di canti tradizionali con riferimenti, nel testo, al cibo. Il clima informale e la distanza inesistente tra musicisti e pubblico, accorciata ancora di più dall’assenza di microfoni e amplificazione, ha trasformato la situazione in una festa a cui tutti sono stati invitati a partecipare. Uno spazio che ha permesso l’interazione tra più persone, così come avveniva nelle situazioni che spesso gli anziani raccontano.
«Il futuro è nelle nostre radici» (don Tonino Bello), ma per indirizzarci verso una meta ben definita è necessario salvare le memorie che ci hanno permesso di essere quello che siamo.
(1) http://www.sitiunesco.it/attach/unesco/docs/siti_2_ricci.pdf