Il Museo archeologico Nazionale di Taranto ha scelto di promuovere in questi giorni sul suo profilo facebook questo “cratere”, ritrovato a Ceglie del Campo (che oggi è un sobborgo di Bari) su cui è raffigurata una stupefacente scena di danza in onore di Dioniso, attribuita al “pittore delle Carnee” e risalente agli ultimi decenni del V secolo a.C. Tale promozione è inserita in “#PastForFuture“, iniziativa che si propone di valorizzare il patrimonio percorsi di rilettura contemporanea. Su fb il tutto viene presentato così:
La festa raffigurata su questo cratere è un curioso esempio di Past for Future, perché la sua danza è giunta fino a noi, ed è diventata molto nota: si tratta della taranta, che ha probabilmente origini tarantine!
Questo singolare testo colpisce per almeno due motivi. Da una parte afferma una cosa francamente fuorviante e inaccettabile (a maggior ragione se parte da un’istituzione come il Marta, da cui ci si aspetterebbe ben altra accuratezza scientifica), cioè che la danza della “festa” rappresentata sul cratere, “arrivata fino a noi”, sarebbe nientepopodimenoche “la taranta”. Ora, una cosa è riferire dei possibili rapporti che potrebbero esistere fra i riti dionisiaci e il tarantismo, argomento aperto, su cui si discute da tempo e si può tranquillamente continuare a farlo; ben altro è dire che quella danza è proprio “la taranta” (cioè il ballo curativo del tarantismo, anche se chiamarla così non è del tutto corretto), arrivata intonsa fino a noi dopo un viaggio temporale piuttosto lunghino, esattamente quella, senza nessun dubbio possibile!
L’altra questione, forse più interessante, riguarda il tema delle origini tarantine della “taranta”, cioè (credo) del tarantismo. Su questo non tutte, ma sicuramente molte testimonianze storiche – alcune vecchie di diversi secoli, altre più recenti – concordano: l’origine e l’epicentro del fenomeno vengono riferite proprio alla città Jonica e ai suoi dintorni. Una approfondita analisi di queste testimonianze è fornita dall’antropologo Antonio Basile nel suo recente Gioconda miseria. Il tarantismo a Taranto. XVI-XX secolo (Progedit 2016), di cui ho anche scritto a suo tempo una recensione (che si può leggere cliccando qui ).
Infine, mi permetto di dare un suggerimento. Se proprio si vuole proporre una lettura “tarantina” del “tarantismo” attraverso le opere dei musei, si potrebbe partire dal segnalare che, proprio nella città jonica, a poche centinaia di metri dal Marta, a Palazzo Pantaleo, nella città vecchia, esiste un piccolo museo etnografico dove sono esposti i risultati delle ricerche pionieristiche che sull’argomento condusse un erudito tarantino, Alfredo Maiorano, che nel 1950, nelle campagne di Lizzano, effettuò la prima registrazione in assoluto di una “pizzica pizzica” (anzi, di una “taranta”) usata per il rito del tarantismo. Questo prima di Alan Lomax, Diego Carpitella, Ernesto de Martino e via dicendo. Maiorano aveva anche raccolto moltissimi oggetti della cultura popolare del tarantino, che sono esposti in questo bel museo che porta il suo nome, la cui collezione etnografica ruota appunto intorno alla ritualità magica e religiosa nel tarantino. Particolarmente significativa nella raccolta, appunto, è la sezione dove sono esposti un violino e un tamburello usati nella terapia del tarantismo.
Mi ha sempre stupito come, in tutto il grande clamore sorto negli ultimi anni in Puglia su questi argomenti, da Taranto, che pure avrebbe tanto da dire e da proporre, sul piano promozionale sia venuto poco e nulla. Penso da anni (e qualche volta ne ho parlato anche in interventi pubblici) che sarebbe una bella idea di “promozione territoriale integrata” quella di proporre un percorso di lettura del fenomeno (naturalmente con la dovuta cautela scientifica) che unisca nella “narrazione” (mi si scusi il termine) i reperti del Marta con gli oggetti del museo Majorano (che a differenza del museo archeologico, che è statale, appartiene al comune di Taranto). Percorso che potrebbe concludersi proprio con l’ascolto delle straordinarie registrazioni fatte a Lizzano (cosa che in questo momento non è possibile fare nella sede del museo, anche se le tracce audio sono disponibili su Internet qui), in un contesto espositivo che renda fruibili anche la tante preziose foto scattate dallo studioso tarantino e anche degli stralci delle tante testimonianza storiche sul tarantismo nella città e nei suoi dintorni, alcune delle quali sono decisamente affascinanti anche sul piano narrativo.
Detto tutto questo, occorre anche ribadire che il cratere del “pittore delle Carnee” è bellissimo (lo tengo da tempo come foto del mio profilo fb!), e da solo giustificherebbe una visita al Marta, museo ricco di tesori straordinari, che oggi si possono ammirare in tutta la loro magnificenza grazie al recente riallestimento. Uscendo dall’austero palazzo con vista sui giardini di Piazza Garibaldi, magari si potrebbe anche fare una passeggiata verso i vicoli di Taranto vecchia, per raggiungere il Museo dedicato al nostro Alfredo Majorano, potendo così passare dalla rappresentazione di un rito del V secolo a.C. a quella di un rito documentato 25 secoli dopo: due fenomeni diversi, ma probabilmente con diverse cose in comune.
La pagina “promozionale” del Marta è questa: https://www.facebook.com/MuseoMARTA/?epa=SEARCH_BOX
Per info sul Museo “Majorano” cliccare qui