in “LETTURE LENTE – rubrica mensile di approfondimento” di AgCult, 8 novembre 2024 (articolo originale qui)
A più di vent’anni dalla Convenzione UNESCO del 2003, è possibile osservare come, sia a livello normativo sia nell’accezione comune, la nozione di patrimonio e con essa le relative misure di tutela e valorizzazione siano state ridefinite in termini più ampi, includendo forme specifiche di cultura “in azione”. In questa direzione, si fornisce una breve panoramica delle politiche regionali in questo settore, insieme ad alcuni esempi significativi di inventariazione degli elementi del patrimonio culturale immateriale e al progetto in corso per un censimento nazionale del patrimonio culturale immateriale
Ad oltre vent’anni dalla Convenzione Unesco del 2003, ratificata dall’Italia con legge n. 167/2007, registriamo come, tanto a livello normativo quanto nel senso comune, la nozione di patrimonio, e con essa le relative misure di tutela e valorizzazione, siano state risignificate in termini più estensivi comprendendo forme proprie della cultura “in azione” e includendo le diverse comunità che, non sempre univocamente, riconoscono nelle “tradizioni ed espressioni orali, ivi compreso il linguaggio in quanto veicolo del Patrimonio Culturale Immateriale, le arti dello spettacolo, le consuetudini sociali, gli eventi rituali e festivi, le cognizioni e le prassi relative alla natura e all’universo, l’artigianato tradizionale” (art. 2 della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, Unesco 2003), tratti distintivi e connotanti una specifica interazione con il proprio ambiente e la propria storia sociale.
Una cultura agìta e negoziale che compone uno sterminato patrimonio nazionale – ampiamente disseminato e articolato nelle varianti territoriali – e mobilita individui e gruppi, da cui emergono le prassi di una salvaguardia partecipativa e di una conservazione trasformativa attraverso le diverse generazioni di “testimoni”: usi tradizionali ed espressioni orali; narrativa, storia locale e toponomastica; musica e arti dello spettacolo di tradizione; il paesaggio culturale e la sua funzione identitaria; le consuetudini sociali e gli eventi rituali e festivi; saperi, pratiche e credenze relative ai cicli naturali e della vita, alle attività produttive e artistiche, all’alimentazione e alla continuità delle consuetudini gastronomiche; pratiche ludiche consolidate e rievocative di eventi storici, festivi e in costume, disegnano i vasti contorni dei tanti mondi locali che attraversano la Penisola.
In questo quadro, l’attuazione della Convenzione ha favorito a livello territoriale la ridefinizione di strategie di valorizzazione che, però, sembrano perseguire, nella gran parte dei casi – almeno al livello delle ambizioni – il primario scopo di entrare nell’agognata Lista Unesco Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale (che attualmente include 18 elementi italiani: dall’Opera dei Pupi e il Canto a tenore riconosciuti nel 2008, ai saperi e saper fare liutario della tradizione cremonese, le feste delle Grandi Macchine a Spalla, la vite ad alberello di Pantelleria, l’arte del “pizzaiuolo” napoletano, la Perdonanza Celestiniana, la cerca e cavatura del tartufo fino alla pratica del canto lirico riconosciuta nel 2023; oltre a elementi transnazionali quali la dieta mediterranea, la falconeria, l’arte della costruzione in pietra a secco, l’alpinismo, la transumanza, l’arte delle perle di vetro, l’arte musicale dei suonatori di corno da caccia, la tradizione dell’allevamento dei Cavalli Lipizzani, l’irrigazione tradizionale). Al contempo, da questo attivismo è scaturito un movimento dal basso che – anche se per certi versi caotico, non coordinato e forse velleitario – produce a sua volta risorse di natura culturale ed economica (i cui impatti andrebbero sistematicamente monitorati) e accresce l’attrattività turistica, in particolare verso piccoli Comuni e Aree Interne, ma anche verso i luoghi maggiormente qualificati dal Made in Italy.
AUSPICI DISATTESI
Tuttavia gli auspici della Convenzione restano ancora in gran parte disattesi, a partire dalla necessità di costruire inventari e forme di catalogazione delle espressioni immateriali: in questa direzione un ruolo dirimente sono chiamate a svolgerlo le Regioni che finora, però, si sono mosse timidamente e difformemente.
Per procedere ecco alcuni esempi. L’attuale Registro delle Eredità Immateriali della Regione Siciliana (REIS) è stato istituito dall’Assessorato Regionale dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione già nel 2005, mentre di poco successivo (2008) è il Registro delle Eredità Immateriali (REIL) della Lombardia, di recente confluito nell’Inventario del Patrimonio Immateriale delle Regioni Alpine, che comprende contenuti immessi dalle comunità locali di Piemonte, Trentino-Alto Adige, Canton Grigioni, Canton Ticino e Canton Vallese. Il Veneto invece ha intrapreso solo da un paio di anni (DGR 967/2022) le attività di caricamento nel Registro del patrimonio culturale immateriale regionale; similmente la Regione Molise, nel quadro del Progetto Interreg Italia-Albania-Montenegro, ha realizzato nel 2023 il Registro delle Eredità Immateriali – ancora in fase di avvio in Puglia –, mentre in Basilicata l’Amministrazione regionale lo scorso anno ha approvato l’Elenco rappresentativo del Patrimonio Culturale Intangibile che prevede l’implementazione nella piattaforma online da parte delle Amministrazioni comunali locali.
In questo scenario spicca, per gli sviluppi particolarmente proficui, l’esperienza della Regione Campania che, con lo scopo di preservare la vitalità del Patrimonio e sostenere soggetti pubblici o privati che senza scopo di lucro partecipano attivamente alla sua valorizzazione e gestione, ha istituito con L.R. n. 38 del 29/12/2017 l’Inventario del Patrimonio Culturale Immateriale Campano (IPIC). L’iscrizione di un elemento culturale nell’IPIC, secondo quanto previsto dal disciplinare, richiede la dimostrazione fattuale della storicità dell’elemento culturale, la cui pratica deve essere attestata almeno nei 50 anni precedenti la domanda di iscrizione, ed è validata da una commissione, presieduta dall’autorevole antropologo Marino Niola, che vaglia “la persistenza di valori sociali e significati culturali correlati al valore identitario dell’elemento culturale, la persistenza di momenti di trasmissione formale e informale, il coinvolgimento delle giovani generazioni, il rispetto della parità di genere nell’accesso all’elemento culturale e la partecipazione attiva della comunità di riferimento nella messa in atto di azioni di salvaguardia e valorizzazione dell’elemento culturale”. Sono stati finora inventariati 98 elementi tra celebrazioni (riti e feste), aspetti della cultura agro-alimentare (pratiche rurali, gastronomiche ed enologiche), espressioni (musiche, mezzi espressivi, performance artistiche) e saperi (produzioni artistiche e artigianali) diffusi tra le cinque province e la città metropolitana. L’esperienza campana appare particolarmente interessante non solo come contributo alla conoscenza degli elementi patrimoniali regionali di maggior pregio ma, anche, come strategia di sostegno e riconoscimento delle comunità portatrici (che vedono rappresentate le proprie istanze senza il ricorso alla complessa, costosa e spesso velleitaria procedura di iscrizione nella lista del patrimonio mondiale). Inoltre, per garantire ampia visibilità e la adeguata salvaguardia a un patrimonio costitutivamente vivente, la Regione a partire dallo scorso dicembre ha inaugurato presso il NEXT-Nuova Esposizione Ex Tabacchificio di Capaccio Paestum, una tre giorni dedicata alla messa in scena degli elementi inscritti nell’inventario, costruendo occasioni di riflessione e spettacolarizzazione volte a diffondere la conoscenza e il confronto sui sistemi di pratiche culturali regionali.
Un efficace innesto tra cultura digitale e valorizzazione dei territori attraverso l’enogastronomia è invece testimoniato dal GeCA, Geoportale della Cultura Alimentare, progetto nazionale dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale (ICPI) del MiC che restituisce, attraverso supporti multimediali saperi e contesti legati ai beni agro-alimentari, in una coinvolgente immersione nelle storie di produttori e prodotti territoriali.
UN PROGETTO DI CENSIMENTO NAZIONALE
Se gli interventi finora esposti risultano circoscritti e non sistematici, dalla volontà condivisa di procedere attraverso un’operazione più vasta e congiunta nasce il progetto sviluppato in collaborazione fra l’Unione nazionale delle Pro Loco d’Itala (Unpli), l’Unione nazionale dei Comuni italiani (Anci) e l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, finalizzato ad implementare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale immateriale ed etnoantropologico dei Piccoli Comuni, a partire dall’avvio di un ambizioso censimento che chiama alla partecipazione attiva e collaborativa le associazioni Pro Loco locali, generando le condizioni per una mobilitazione “dal basso” degli attori coinvolti attorno ai propri elementi patrimoniali d’interesse che, in particolare nel caso in questione, si esprimono incorporati nelle testimonianze viventi: la ricognizione delle forme ancora in funzione, e delle comunità patrimoniali di riferimento, vuole allora essere un’opera di inventariazione funzionale a garantirne la tutela, il monitoraggio e incentivarne la disseminazione. La raccolta dei dati è condotta da personale individuato dall’Unpli sulla base di schede ricognitive elaborate dall’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale, che cura anche la formazione dei volontari. I materiali raccolti, grazie alla collaborazione delle amministrazioni locali, vengono caricati e condivisi su una piattaforma digitale che li geolocalizza per la fruizione. A questi si aggiungano i dati aggregati presenti in archivi digitali già esistenti, con cui sarà stabilita una interoperabilità, rendendoli accessibili a un pubblico più ampio dei soli addetti ai lavori.
Nell’ambito del progetto sarà anche avviato un censimento dei musei locali di interesse etno-antropologico, mirato a verificarne la diffusione, il livello dei servizi e lo stato di frequentazione da parte dei cittadini e dei visitatori: un patrimonio di conoscenze utile alla ridefinizione e al rilancio di questa fitta rete di presidi culturali, di cui il nostro Paese è estremamente ricco, ma dove non mancano elementi di debolezza e criticità.