La Taranta siamo noi

Melpignano, la notte più lunga

La pura cronaca dice questo. Sabato 21 agosto scorso, per tutta la notte, in un paesino del Salento a 20 chilometri a sud di Lecce che di nome fa Melpignano, c’erano 60.000 persone a un concerto di Pizzica salentina chiamato La Notte della Taranta. Sessantamila giovani che venivano da tutta Italia e da tutta Europa. Sul palco, fino quasi alle quattro del mattino, hanno suonato artisti salentini coordinati da Ambrogio Sparagna, con la collaborazione di Francesco Di Giacomo (ex banco del Mutuo Soccorso), di Franco Battiato e di Gianna Nannini.

La pura cronaca dice anche altre cose. Dal pomeriggio il piccolo paese di Melpignano andava a riempirsi di gente che, per arrivare alla grande piazza del concerto, parcheggiava, in piena campagna, fino a quattro chilometri di distanza. E proseguiva a piedi.

Da anni ormai la Notte della Taranta è un appuntamento importante per tutti gli amanti della musica popolare. Ma fino a pochi anni fa era un fenomeno tipicamente salentino. Un luogo dove la gente arrivava per ballare in piazza e sentire i gruppi di pizzica preferita. Poi da quattro o cinque anni a questa parte le cose sono cambiate.

Quella musica, che veniva suonata per liberare i contadini dal morso della tarantola, e che fu descritta ne La terra del rimorso di Ernesto De Martino, quelle ninne nanne, quei canti di lavoro delle lavoratrici del tabacco, sono finiti nelle mani di musicisti che arrivavano da fuori e che si confrontavano con questa tradizione. Il jazzista Joe Zawinul, la cantante Noa, Stewart Copeland (ex batterista dei Police) e tanti altri.

L’effetto era a metà tra la ricerca e l’invenzione di strade nuove. I giovani cominciavano ad arrivare sempre da più lontano. E Melpignano non era più soltanto una festa salentina fatta per ballare, ma cominciava ad essere qualcosa di più. Va detto che l’effetto non era musicalmente sempre felice. Le percussioni di Copeland non si adattavano facilmente al ritmo della pizzica, e nel passato in qualche caso si è esagerato nell’uso di arrangiamenti elettronici. Ma la formula funzionava. Soprattutto quando Noa saliva sul palco a cantare Ninne Nanne in lingua grika.

Quest’anno si è tornati alla tradizione, con un formidabile Sparagna in grado di mettere insieme un’orchestra di 50 elementi, con venti suonatori di organetto che suonavano tutti assieme, tamburellisti, virtuosi del mandoloncello. E voci diversissime. Da quelle di Franco Battiato e Francesco Di Giacomo a quella di una bimba di poco meno di dodici anni che sembrava arrivare da un mondo antico, colorato all’improvviso dalle luci di qual grande palco. E sembravano un miracolo quelle migliaia di braccia alzate a seguire il ritmo di brani che nel Salento sono popolarissimi come Calinitta, ma che per ritrovarli incisi, bisogna andare a cercare edizioni discografiche molto poco diffuse e mal distribuite.

Perché quello che ormai si può definire il marchio Salento, per ora è un marchio sentimentale, e non ancora industriale. E quando la Notte della Taranta cerca di darsi una formula che la spinga oltre la festa popolare, mettendo il ballo in piazza in secondo piano, commette un errore. Perché alla fine tutti gli artisti stranieri e italiani, tutti i forestieri e i non salentini che arrivano qui, finiscono per toccare con mano una dura realtà. Che i musicisti salentini quasi sempre sono più bravi di loro e conoscono quel pubblico come nessuno. E allora sbaglia Giovanni Lindo Ferretti quando cerca a tutti i costi di far partecipare il pubblico attraverso una kermesse detta, recitata, parlata: perché la partecipazione è nel dna di un posto come Melpignano e non ha bisogno di altri stimoli, tra l’altro estranei e lontani dalla tradizione salentina.

Poi, certo, anche in un posto come Melpignano accadono episodi davvero curiosi. Tra il pubblico, sabato sera c’era per la prima volta il neo Commissario europeo Rocco Buttiglione, di casa nella poco lontana Gallipoli. Buttiglione, mentre sul palco cantavano una Bella Ciao salentina rivisitata, si è slogato una caviglia ed è stato portato via con un’ambulanza. L’unico dei sessantamila che ha avuto bisogno di un mezzo di soccorso. Le battute ironiche di alcuni sindaci della grecìa salentina, tutti di sinistra da sempre, non si contavano. A Buttiglione San Paolo dei Serpenti, il santo dei tarantati, non ha portato fortuna. Ma incidenti a parte, il clima quest’anno era diverso. Sarà stato che per la prima volta girava tra il pubblico una bandiera rossa passata di mano in mano, sarà stato che ormai siamo nella guerra globale, ma là in mezzo tra i ragazzi che ballavano era forte la sensazione che ci fosse un rituale di liberazione, che era lo specchio perfetto dell’antico rito della taranta. Il morso della tarantola, era un destino contadino di povertà, un veleno sociale di cui liberarsi; la notte di Melpignano, per certi aspetti fuori dal tempo e dalla propaganda più spicciola, sembra oggi un rito di liberazione che porta a un concentrato di energie positive.

Anche se non tutto è perfetto. E proprio il successo di questa formula lascia perplessi quelli che si occupano di musica salentina nel modo più serio. Troppa pizzica, dicono, troppa musica fatta solo per ballare. E poca sensibilità verso il patrimonio musicale salentino. Dove la pizzica ha un ruolo più marginale di quanto si pensi. Accade che le polemiche più o meno sotterranee arrivino sempre, specie quando una formula raggiunge il successo, ma per i sessantamila giovani di Melpignano, molti arrivati per la prima volta nel Salento, sono soltanto discussioni lontane e un po’ accademiche. Roba da puristi. Qualcuno ha detto che il raduno di Melpignano è una sorta di Woodstock della Pizzica. E forse è vero. Ma al di là delle definizioni, la Notte della Taranta è un fenomeno che non è guidato e diretto dalle case discografiche, che non si basa sull’astuzia degli sponsor. Che fa a meno della televisione, che non cerca formule facili. Che non ha agenti che si aggirano in cerca di guadagno. Qui gli artisti vengono a cantare senza farsi pagare, come nel caso di Battiato. Questo è un luogo atipico e affascinate. Che assomiglia a un rave, e nello stesso tempo trova la sua forza in una musica perduta e bellissima, che mette in comunicazione le generazioni.

Dove porti tutto questo, è difficile dirlo. Ma quei sessantamila, l’altra notte, sono qualcosa di molto di più di una speranza. Se quei sessantamila ragazzi erano lì, e va detto senza alcuna retorica, vuol dire che nel nostro futuro non tutto è ancora perduto.

tratto da l’Unità

FacebookTwitterGoogle+WhatsAppGoogle GmailCondividi

Lascia una risposta