Da nord a sud, ma slowly

di Riccardo Piaggio

dall’inserto culturale del Sole 24 Ore del 6 dicembre 2009

 

pff06aramireDal Tavoliere alle Alpi, le musiche popolari e tradizionali si candidano a raccontare la biodiversità dei questo Paese. E se, insieme al cibo, fossero proprio i suoni, le parole e i balli di pastori, contadini e montanari i nostri più formidabili cultural commons, ossia il nostro patrimonio culturale immateriale? Non a caso, dalle parti di Bra (dove è nato Carlin Petrini), la nuova musica tradizionale la chiamano Slow Folk. A Carpino, ad esempio, le fave (presidio Slow Food), vanno in coppia con i Cantori (patrimonio Slow Folk?). Da non consumare in fretta, che si tratti di fave o di cantori. Partendo da sud, ecco dunque Il ritorno della taranta (Squilibri, a cura di Vincenzo Santoro, con allegato cd di 75’ che comprende rarità e classici del genere), una «storia della rinascita della musica popolare salentina» che racconta qualcosa di più di un fenomeno locale. In un racconto corale, i migliori nomi della nostra musica popolare ricordano come la cultura della terra (cibo e suoni, ancora una volta insieme) abbia drenato un possibile genocidio culturale nel nostro sud, dovuto alla massificazione del gusto. È quanto ricordò già Pasolini nei suoi Scritti Corsari, in tempi non sospetti. Da Giovanna Marini agli Officina Zoè, da Edoardo Winspeare a Eugenio Bennato, il volume traccia la rotta di una questione locale, la pizzica salentina (così come la tarantella del Gargano), divenuta moda globale, anzi glocal. Leggendo questa storia si comprende perché centinaia di migliaia di giovani partecipino ogni anno a feste e concerti di musica tradizionale, più o meno con lo stesso spirito con cui, negli Usa, gli hippies accoglievano le ballate folk di Pete Seeger e Bob Dylan. E pensare che la riscoperta della propria identità sonora, conquistata da giovani musicisti come antidoto al degrado, ha prodotto, negli anni, anche effetti esilaranti: «a seguito di successi di film farciti di arti marziali orientali», si legge nel volume, «alcuni giovani duellavano nella pizzica schermata con precarie e ridicole imitazioni estemporanee di kung-fu e di karate, tanto che gli anziani si erano stufati delle nuove forme caricaturali di ballo, e avevano smesso di recarsi alle feste». (…)

 

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