La danza di una donna punta da una tarantola nei dintorni di Napoli, Willem Schellinks, 1664

417384949_10161192888445349_1336279091553896324_nLa danza di una donna punta da una tarantola nei dintorni di Napoli
Willem Schellinks, 1664
Le immagini relative al rito del tarantismo, se si escludono le documentazioni fotografiche e video realizzate nel dopoguerra nel Salento, sono molto rare. Una delle più notevoli, venuta alla luce da poco (e ignota ad esempio a Ernesto de Martino e i suoi collaboratori) è un disegno con La danza di una donna punta da una tarantola dovuto a Willem Schellinks, un viaggiatore olandese che visitò Napoli nella primavera del 1664. La scena rappresentata, di cui offriamo un particolare, sarebbe stata osservata nei dintorni di Capodimonte. Vediamo una giovinetta tarantata che balla con in bocca una spada adorna di nastri colorati e in mano un rametto fiorito, accompagnata da un’altra donna che regge tra le mani un panno rosso. Sostengono il ballo una suonatrice di tamburello, un suonatore di chitarra battente ed un violinista (nel resto del disegno che qui non si vede), mentre gli addobbi rituali ricorrenti in molte fonti storiche sul tarantismo (lo specchio, la spada, il rametto fiorito) completano la scena. Nel suo Diario di viaggio Schellinks annota che davanti ai tarantati venivano sventolati drappi di seta colorata e che in molti danzavano per le vie della città seguendo i musicisti, a volte “tenendo una o due spade sfoderate e decorate con nodi multicolori di nastri bellissimi di seta, sui quali il poveretto fissa gli occhi per distrarre i suoi sensi”, e nel frattempo “qualcuno va di casa in casa chiedendo l’elemosina per il povero paziente e per i musicisti, suonatori di zampogna, pive, violini, chitarre, arpe e altri strumenti, che insieme intonano una melodia o canzone composta proprio per questo scopo”.
Si tratta di una immagine di estremo interesse, per varie ragioni, che sintetizzo per punti:
– gli “attributi” della tarantata, che rappresentano una ricchezza simbolica del rituale che nelle fonti più recenti (anche salentine) si è persa;
– in particolare, l’uso delle spade, che sono una caratteristica molto presente nella documentazione storica sul tarantismo (in particolare campano), hanno un importante antecedente in un brano di un celebre esponente della scuola medica salernitana, Garioponto (primi decenni dell’XI secolo, quindi molto prima dei più antichi documenti espliciti sul tarantismo) e del cui uso in rituali di “guarigione” tramite la musica e il ballo sono emerse tracce nelle recenti indagini archeologiche condotte da Alessandro Di Muro nella straordinaria grotta santuario di Olevano sul Tusciano, nel salernitano;
– la presenza di una donna che aiuta la tarantata a ballare (in analogia a quanto avviene in altri simili “rituali di trance”, in vari luoghi del mondo anche molto lontani fra di loro), comportamento che emerge anch’esso in alcune fonti storiche;
– un contesto del rito che, come confermato in qualche modo anche dagli appunti di Schellinks, appare più simile a una festa di paese (possiamo dire quasi più allegra che triste?) che al teatro della desolazione descritto dalla etnografia demartiniana (nonché dalle foto di Franco Pinna, dalle immagini di Gianfranco Mingozzi e dal commento di Salvatore Quasimodo, che compongono di fatto il pregnante ma necessariamente limitato immaginario multimediale dell’ultimo tarantismo leccese).
Al tarantismo campano ho dedicato un capitolo del mio libro Il tarantismo mediterraneo. Una cartografia culturale. Ne parlo anche un in recente articolo, che si può consultare cliccando qui
Ecco la riproduzione integrale del disegno di Schellinks
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